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Le emozioni sono fondamentali nella vita degli uomini. Contrappore ragione e sentimento, l’errore Cartesiano, è sostanzialmente errato anche da un punto di vista scientifico. A Damasio, in particolare, si deve il merito di aver concepito il meccanismo razionale come esito dell’alleanza proprio tra emozioni e razionalità. Il processo razionale e il processo emotivo non rappresentano due alternative, due entità irriducibili, ma sono anzi fortemente connesse – come dimostra l’ipotesi del marcatore somatico proposta dal ricercatore portoghese.

Questo preambolo necessario serve per dire che, inevitabilmente, il racconto della finale appena occorsa tra Roger Federer e Rafael Nadal non può essere scevra dalla componente emozionale, il vero tratto distintivo che ha reso questa sfida semplicemente La Sfida. E tale componente ha collegato con un filo invisibile coloro che hanno assistito al match: non solo gli appassionati di tennis, bensì tutti gli appassionati di sport. Perché Federer contro Nadal non è stato solamente la finale maschile del primo Slam annuale, l’Australian Open, tra le teste di serie numero 9, il maiorchino, e numero 17, lo svizzero: l’incontro, il trentacinquesimo della loro carriera, è stato uno show globale, il Superbowl del tennis lo chiameremmo; un incontro che per appeal extratennistico potremmo accomunare al match tra Muhammad Ali e George Foreman a Kinshasa nel 1974, The Rumble in the Jungle. Una partita tra due dei più forti tennisti dell’era Open – piccolo sfogo personale: smettiamola di dire che Federer è il più forte della storia, facciamo un torto non solo a lui ma anche a tutti i suoi illustri predecessori – che entra di diritto nel mito e nella leggenda non solo dello sport ma della società contemporanea.
Detto ciò, come sappiamo, entrambi non si aspettavano di essere i protagonisti della prima finale in un torneo Major 2017. I noti problemi fisici li avevano obbligati ad interrompere in corsa la stagione scorsa, dando adito alle insistenti voci che li davano in un declino, oramai, inesorabili. Varie congiunzioni astrali, non ultime le premature sconfitte delle prime due teste di serie del torneo, hanno permesso ai due campioni di ritornare ad incontrarsi sul campo della Rod Laver Arena nel giorno più importante di tutta la competizione oceanica: Domenica, giorno della finale maschile.

L’attesa del mondo è spasmodica. I giocatori fanno il loro ingresso nel catino ribollente del Centrale. Nadal è cosciente di essere il favorito della vigilia; con l’acerrimo rivale ha vinto 23 dei precedenti 34 incontri, 11 su 14 se prendiamo in esame solo match disputati al meglio dei 5 set: la strategia è sempre la stessa, banale talvolta, ma assolutamente efficace contro il campione svizzero e, soprattutto, vincente. D’altra parte Federer non è mai stato in grado in tutta la sua carriera di venire a capo del rebus rappresentato proprio dalle caratteristiche tecniche dell’avversario: giocatore mancino che con i propri colpi arrotati non gli consente di mettere continuativamente i piedi all’interno del campo, comandare e accorciare lo scambio. Con un simile background storico e tattico i due giocatori approcciano il primo set con le marcie basse: si conoscono bene, forse troppo, e sanno che ogni sprint va centellinato, ogni affondo deve essere portato quando l’avversario avrà il fianco maggiormente scoperto. Il primo sussulto dell’incontro giunge nel settimo gioco quando Roger strappa il servizio a Nadal alla prima occasione disponibile, un fatto abbastanza raro per lui, visto il suo classico problema nella percentuale di conversione delle palle break. Conquistato il break lo svizzero non si volta più e, grazie al 93% di punti conquistati dopo aver messo la prima palla, fa suo il primo parziale con il punteggio di 6-4.

Rafa, come è comunemente noto, non cede l’onore delle armi con facilità e si riscatta immediatamente nel secondo set volando addirittura sul 4-0. Il servizio di Federer perde di incisività consentendo allo spagnolo di organizzare una solida resistenza dalla linea di fondocampo: sfondare Nadal senza la prima palla è un’impresa ardua, anche per l’ottimo Federer di oggi. Il set, infatti, termina sul 6-3 e l’equilibrio nel computo dei set viene a ristabilirsi dopo poco più di un’ora di gioco. È l’inizio di una nuova partita, due set su tre questa volta quasi come se i due set precedenti fossero il necessario preludio allo showcase finale come dicono gli americani, la resa dei conti diremmo noi.

Il terzo set ha inizio con Federer che, dopo aver salvato con altrettanti ace tre palle break, strappa la battuta all’avversario e si porta sul 3-0. Il terzo set di Federer è un dominio strategico, tattico e tecnico: uno spettacolo sublime di arte tennistica che ricorda la famosa massima dell’allora Cassius Clay «Float like a butterfly, sting like a bee», vola come una farfalla, pungi come un'ape. Roger veleggia senza apparente peso sul campo, anticipa ogni colpo, riduce ai limiti del possibile il tempo e lo spazio colpendo sempre la palla in fase ascendente, anche di rovescio, ciò che fino a quest’oggi era sembrato essere un taboo nei 34 incontri disputati contro Nadal: un Rafa visibilmente e comprensibilmente stupito dalla facilità con cui Roger riusciva a contrastare la strategia che così tante volte ne aveva irretito il gioco cristallino. Non c’è alcun dubbio: Federer non è in difficoltà sulla diagonale mancina, sfoderando la miglior prestazione con il rovescio della propria carriera. Il 6-1 del terzo set è l’ovvia conseguenza di ciò che si è appena detto: Nadal è in balia della marea svizzera.

Ma Rafael Nadal, il più grande agonista dai tempi di Jimmy Connors – e molto più sportivo di Jimbo – non è un atleta che si lascia intimorire, specialmente dopo aver solleticato l’idea di conquistare il primo Slam dopo tutte le tribolazioni di questi ultimi tempi; anche grazie ad un Federer decisamente più falloso, improvvisamente inverte il trend dell’incontro, brekka lo svizzero e si porta in vantaggio di 4-1 nel quarto set. Federer tenta di risollevare le sorti del set ma è troppo tardi, ed è costretto a cedere per 6-3, rimandando ogni proposito di vittoria al quinto e decisivo set. Un andamento rapsodico dell’incontro che riflette e combina precisamente le caratteristiche dei due giocatori: velocità di crociera per Nadal che pur non esprimendo il suo miglior tennis rimane agguantato con le unghie e con i denti alla partita e continue montagne russe per Federer, classicamente soggetto ad un andamento sinusoidale.
L’epilogo più giusto – il tennis è uno sport giusto? – è naturalmente il quinto set, il Valhalla del tennis, il luogo sacro dove i sogni si avverano o, al contrario, si infrangono.

Vi ricordate di Damasio e di tutto il discorso introduttivo sul ruolo dei processi emozionali: bene, il quinto set tra Federer e Nadal è un’esplosione continua di emozioni, un costante sovvertimento di ogni tipo di logica, una sorta di lotta ancestrale per la conquista del trofeo. Anche nel quinto parziale si ripete la storia del match, grazie al break iniziale conquistato da Nadal che si porta sul 3-1. Federer è ancora in corsa, però, guadagnandosi una gragnuola di possibilità per operare il break: anche questa volta sembra che l’incapacità dello svizzero di convertire le svariate opportunità che trova sul proprio cammino lo possa condannare alla sconfitta. Alla sesta possibilità, però, l’elvetico riesce finalmente a strappare il servizio a Nadal, recupera il break: tre pari. Non si accontenta, però, Re Roger; sembra galvanizzato, ritrova l’ardore del terzo set, si incolla sulla linea di fondo e, a furia di anticipi esasperati, costringe Nadal a rincorse inverosimili. Il match è segnato, questa volta in modo definitivo; Rafa va 0-40 nell’ottavo gioco e, pur riuscendo a salvarsi in un primo istante, è costretto ad alzare bandiera bianca e a cedere per l’ultima volta, quella decisiva, il servizio. Il match termina il game successivo: è finita, 6-3 per Roger Federer, il nuovo campione degli Australian Open.

Per parlare di record, di futuro del tennis ci sarà tempo. Ora è il momento delle celebrazioni, dei festeggiamenti per qualcuno, dei rimpianti per altri. A tutti, però, va la nostra stima e gratitudine; agli straordinari campioni che si stringono in un sincero abbraccio sul podio delle premiazioni con un altro grande, The Rocket, Rod Laver. Su quel palco - Roger con la coppa del primo classificato, Rafa con il trofeo del finalista e Rod a fare gli onori casa - non solo vi stanno 43 titoli del Grande Slam (18 per Federer, 14 per Nadal, 11 per Laver): su quel trono vi sta il significato e l’essenza dello Sport. Su quel palco vi sta l’emozione.

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