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La psicologia cognitiva sostiene come il vantaggio dell’atleta competente (expert athlete) dipenda principalmente dalle rappresentazioni mentali interne e dai processi cognitivi che mediano l’interpretazione dello stimolo, la selezione dell’azione e, infine, la modalità di risposta al suddetto stimolo (Hodges, Starkes, MacMahon, 2006).

Nel dettaglio gli atleti competenti presentano le seguenti caratteristiche cognitive: maggiore conoscenza di ciò che, verosimilmente, può accadere in una determinata situazione; maggiore, organizzata e strutturata, conoscenza dichiarativa (DK) – un sapere che risponde alla domanda “cosa si deve fare?”, una conoscenza legata alle regole e all’obiettivo del gioco – che si pone in relazione con una conoscenza procedurale (PK) – la memoria delle procedure necessarie per compiere azioni che solitamente vengono svolte in modo automatico e in assenza di un alto grado di consapevolezza (Moran, 2004; Ruiz, Sanchez, Durán, & Jimenez, 2006; Wrisberg, 2001). Pertanto tali conoscenze hanno notevole influenza su altri processi cognitivi tipici del giocatore di tennis come l’attenzione selettiva, l’anticipazione, la selezione delle risposte, l’esecuzione o performance. Dunque, da un punto di vista puramente cognitivo, un tennista è competente quando è in grado di riconoscere il maggior numero di situazioni che possono presentarsi all’interno di un campo da tennis (cosa devo fare?), selezionare la migliore risposta possibile in base all’elaborazione della situazione presente (come devo fare?) e, infine, agire di conseguenza (fare!).

In che modo, però, un atleta può divenire un atleta competente?

Sin dagli studi di fine ‘800 ad opera di Sir Francis Galton, la comunità scientifica si è posta l’interrogativo sulle modalità per incrementare l’expertise cognitiva degli atleti, ovvero la loro competenza cognitiva. L’expertise è influenzata da variabili che includono le caratteristiche genetiche e psicologiche, da variabili legate al contesto e dalla metodologia di allenamento: fattori che determinano l’acquisizione e lo sviluppo di alti livelli di performance sportiva. Tradizionalmente la ricerca si è soffermata prevalentemente sulla relazione tra allenamento e performance proponendo un modello di sviluppo sportivo chiamato Deliberate Practice Theory (Ericsson, Krampe, & Tesch-Römer, 1993) che sostiene il bisogno di un lungo periodo di intenso training per raggiungere una performance d’élite, il tutto corroborato da specifici esercizi volti al miglioramento della performance. In sostanza, secondo quest’approccio la relazione tra mole di esercizio e performance è perfettamente lineare.

Senza addentrarci maggiormente all’interno di tale visione, in anni recenti sono sorti ulteriori approcci teorici che hanno mostrato come alcune attività risultino essere necessarie per incrementare la propria competenza nello sport (video training, partecipazione alle competizioni, specifico e individualizzato decision-training; Baker, Côté, & Abernethy, 2003; Deakin & Cobley,2003). Proprio del rapporto tra partecipazione competitiva e cognitive expertise si occupa il lavoro svolto da García-González, Moreno, Moreno, Gil e Del Villar pubblicato nel 2015.
In uno studio svolto con 150 tennisti spagnoli di età compresa tra 10 e 16 anni, il gruppo di ricerca spagnolo ha indagato come quantità e livello di competizione a cui i giocatori partecipano (variabili indipendenti) possano essere in relazione con una maggiore competenza cognitiva (variabile dipendente), ovvero conoscenza dichiarativa (DK) e conoscenza procedurale (PK).
I risultati della ricerca mostrano chiaramente come esista una positiva e significativa correlazione sia tra quantità di competizioni e DK (Spearman’s Rho=.507; p<.001) che tra quantità di competizioni e PK (Spearman’s Rho=.607; p<.001). Ciò denota come il prendere parte a competizioni agonistiche o ad eventi simili può aiutare notevolmente i giocatori a divenire competenti in termini di PK e DK. “Fare partite” porta i giocatori informazione, ma non solo, ad avvicinarsi al profilo dell’atleta competente e permette di sviluppare specifiche procedure applicabili alle situazioni di gioco: una classica circostanza in cui il fare aiuta il conoscere (Williams & Davis, 1995).
Parallelamente a ciò, il gruppo di ricerca riscontrò come esistesse correlazione anche tra il livello di competizione e le variabili dipendenti DK (Spearman’s Rho=.483; p<.001) e PK (Spearman’s Rho=.565; p<.001). I risultati indicano, dunque, come vi sia un importante e significativa relazione tra il livello di competizione cui si partecipa e l’expertise cognitiva dei tennisti: ciò denota come il frequentare tornei, partite e competizioni di alto livello si leghi ad una maggiore e, sostanzialmente, migliore competenza cognitiva e sportiva (un fattore che i tennisti italiani e la federazione sembrano non tenere mai in conto vista la programmazione stagionale che, quasi sempre, vede i giocatori italici optare per eventi di minor livello e concorrenza e che, quindi, abitua i nostri portacolori ad un minore impegno cognitivo, tecnico e atletico: i risultati sono lo specchio delle scelte che vengono operate).

Le evidenze empiriche riportate dallo studio citato mostrano, perciò, come le competizioni siano fondamentali e necessarie per lo sviluppo cognitivo e, dunque, tennistico; competizioni che dovrebbero essere promosse dai coach come attività di apprendimento sin dai primi passi di un tennista nel contesto formativo e non come attività volte esclusivamente al raggiungimento della vittoria. Come purtroppo siamo abituati a vedere nella pratica sportiva la competizione, la partita diventa spesso una performance atletica dove l’unico obiettivo è il superamento dell’avversario, talvolta additato come nemico, attraverso ogni mezzo, lecito e illecito: in questo modo, però, viene perso il vero significato e la grande importanza del gioco competitivo – specialmente nell’età della formazione – come momento e opportunità di miglioramento, di apprendimento, di riflessione e non come un modo per ottenere una migliore classifica FIT a fine anno.

Il fare aiuta il conoscere si diceva in precedenza, un concetto che deve spingere i coach ad implementare maggiormente all’interno delle sessioni quotidiane di allenamento piccole competizioni, partite a tema, partite situazioni-specifiche, circostanze che permettono di incrementare direttamente sul campo e in prima persona l’expertise cognitiva degli atleti, la conoscenza delle situazioni di gioco, la scelta e la messa in campo della migliore strategia per far fronte alle svariate situazione riscontrabili in un campo da tennis.

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