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Archiviata la settimana di Coppa Davis dove il doppio rivive antichi splendori il tennis si rimette in cammino verso la stagione europea su terra battuta in vista del Master 1000 di Montecarlo. Nel contempo il doppio torna in soffitta nel ruolo di “Cenerentolo” come un vecchio e inutile abito che al tennis attuale non serve più. Ciononostante non tutto è perduto, all’orizzonte si intravedono nuove iniziative.

La dichiarazione di Federer di voler giocare il doppio con Nadal in occasione della Laver Cup, esibizione che vedrà contrapposte le squadre di Europa e resto del mondo, è di quelle in grado di accendere i riflettori su una specialità decisamente in disarmo. Le probabilità di vedere i due storici rivali dalla medesima parte della rete sono elevate, soprattutto per ragioni di ordine commerciale. E sicuramente sarà l’aspetto più rilevante dal punto di vista tecnico e spettacolare, in grado di suscitare interesse e curiosità nei confronti di una manifestazione poco credibile e dall’incerto futuro. La Laver Cup potrebbe, o forse vorrebbe, essere un laboratorio per una revisione della formula della Coppa Davis, la competizione a squadre per eccellenza del tennis, che tra passate esclusioni dei professionisti, decennali rinunce dei big, dubbi di formula e di collocazione nel calendario agonistico, crolli e rinascite, mantiene dal 1900, un fascino senza tempo e continua a riservare al doppio una vetrina unica. Tuttavia permangono perplessità riguardo le probabilità che un’esibizione di lusso possa sostituire o rilanciare la Davis, la specialità del doppio o anche semplicemente perdurare negli anni, in uno sport ancora sensibile alla tradizione, oltre ai punti per il ranking, ai soldi e ad altre motivazioni moderne. La crediamo avviata alla medesima fine con oblio del WTT (World Tennis Team) degli anni settanta, che pure, nel 1977, sotto la spinta di un consistente assegno, sottrasse il favoritissimo Borg al Roland Garros. Ma i riflettori sul doppio sicuramente si accenderanno, temiamo per spegnersi appena Roger e Rafa usciranno dal campo, senza rilanciare la specialità e senza avviare nè riflessioni né concrete iniziative tese al recupero degli antichi fasti.

Il doppio storicamente ha rilevanza praticamente pari al singolo: a Wimbledon la specialità maschile nasce nel 1897, due anni dopo il singolare, mentre vede la luce fin dalla prima edizione in tutti gli altri Slam (1881 Campionati Americani; 1905 Campionati Australiani; 1925 Roland Garros). Nel femminile nasce nel medesimo anno del singolare ai Campionati Australiani (1922) e al Roland Garros (1925), nel 1890, con 3 anni di ritardo, ai Campionati Americani e abbastanza in ritardo a Wimbledon (1884 il singolo, 1925 il doppio).

Per decenni la qualità dei partecipanti e il prestigio del doppio regge il confronto con il singolo, almeno fino agli anni settanta, quando il circuito professionistico, a causa degli spostamenti più lunghi e frequenti e dell’accresciuto impegno fisico della disciplina, comincia ad allontanare alcuni top player, in primis Connors e Borg, numeri 1 del mondo dal 1974 al 1980, e i grandi fondocampisti, anche per una loro minor predisposizione tecnica alla specialità. Il declino continua inarrestabilmente, sia pur con illustri eccezioni (Mc Enroe e Edberg, per esempio), per una reale necessità di riservare al singolo energie fisiche e mentali, ma forse anche per emulazione dei tennisti di vertice, fino a far perdere lustro e prestigio agli albi d’oro prima e alla disciplina stessa in seguito.

Il doppio diviene il fratello povero del singolare: ad alto livello è identificato spesso come ambito esclusivo di giocatori sulla via del tramonto o seconde fasce; a livello nazionale e regionale continua a perdere praticanti e tornei (tra i III e i II categoria sono praticamente sparite le competizioni), ma anche tra i IV categoria, gli under e i soci dei club (gli ultimi ad allontanarsi dal gioco in coppia) vi sono sempre meno praticanti. L’emulazione dei grandi campioni e la caccia ai punti e alle classifiche, in buona misura comprensibile ad alto livello, ha determinato anche nelle categorie inferiori e giovanili indifferenza nei confronti di una disciplina divertente, spettacolare e sicuramente utile alla crescita tecnica. A parte le competizioni a squadre (dalla Davis alla serie D, dai veterani agli under), il doppio è in grado di destare interesse perlopiù nelle fasce basse dei tornei internazionali, anche per dare il diritto all’ospitalità in caso di eliminazione dal singolare e per far quadrare bilanci economici di aspiranti professionisti, spesso più ricchi di uscite che di entrate.

Il fascino di un tempo sembra irrimediabilmente compromesso e a nulla valgono considerazioni di ordine tecnico e formativo e attribuzione di punteggio nelle categorie giovanili. Un reale recupero dei fasti passati deve inevitabilmente coinvolgere i top player. La semplice riduzione del punteggio non ha sortito alcun effetto, anzi forse ha contribuito a consolidare una posizione marginale. Da solo, anche l’obbligo di iscriversi a entrambe le competizioni, dubitiamo possa avere effetti significativi (se non magari l’abitudine a non ricercare strenuamente la vittoria). L’azione di rilancio dovrebbe, invece, puntare su molteplici fattori: di ordine pratico, come aumento dei montepremi, prolungamento della durata dei tornei (per esempio tre settimane per gli Slam e 10-12 giorni per i master 1000), riduzione delle coppie ammesse in tabellone e di ordine culturale, come rinnovata enfasi nella considerazione del ranking della specialità e soprattutto del prestigio dei titoli, per tentare di riavvicinare i big ai corridoi e gli spettatori ai match (e gli sponsor e i soldi alla specialità). Temiamo, tuttavia, che non ci siano reali intenzioni di rilancio, anche con la prospettiva di veder prolungare la carriera ai vertici del ranking di Federer, delle Williams e di altri idoli, di alimentare un affascinante confronto intergenerazionale come è stato in passato, in modo sistematico, per esempio per Stan Smith, John Newcombe e altri ex numeri 1 del mondo e occasionalmente per John McEnroe, capace di vincere nel 2006, a 47 anni, in coppia con Jonas Björkman (trentaquattrenne) il doppio a San Josè. Se superMc fosse emulato in tale impresa da King Roger vedremmo trionfare l’elvetico tra 11 anni, nel 2028, in un torneo ATP. Sembrerebbe un’allettante prospettiva, spettacolare e commerciale, ma temiamo non in grado di alimentare l’interesse a trovare una cura seria per i mali del doppio.

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