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“Milos...Milos che stai facendo?! Te l’ho detto mille volte, quella volèe alta devi accompagnarla! E il polso poi! Bloccato, lo devi tenere bloccato e non importa che sei due metri, tanto va in rete lo stesso!”.
Ma le parole appena pronunciate, anzi, appena pensate non raggiungono le case americane via ESPN, come forse non dovrebbero, ma rimangono serrate in bocca, pronte a uscirne col prossimo filo d’aria di passaggio.
E l’uomo con le cuffie lo sa, lo sa bene che da quella sua bocca può uscire di tutto, anche con un misero filo d’aria. Così trattiene il respiro, qualche secondo, con le labbra tese, semi aperte.
Giusto il tempo di sotterrare la rabbia con l’inizio dello scambio successivo. Sotterrarla, al massimo trattenerla a fatica, mai spegnerla. La rabbia non la spegne, non l’ha mai spenta, non la spegnerà mai.
La racchetta era pesante, si, in quelle finali verdi, ma mai tanto da strozzare un’emozione, soprattutto la rabbia. Cuffie e microfono sanno essere granitici, a modo loro.

“Andy stai calmo. Calmati. L’avessi avuto io in finale uno che a rete regala come quello là.... Respira, respira e vai fino in fondo. Silenzia i dubbi, non servono. Uccidi le domande, sprecano tempo e attenzione e soprattutto, chiudi la bocca, che non si vince con la voce. A questo gioco le parole non servono, questo è un film muto, è un teatro dei mimi lo sciocco che parla vuole mettervi il copione. Ma a cosa servono, le battute, ad un mimo?
La battuta del mimo, come del muto, non è altro che un gesto. Il suo pensiero è azione. Ecco cos’è, un vero giocatore, un mimo. Il pensiero del campione è corporeo, dalla bocca non ci passa neanche, e il campione che fa passare qualcosa dalla bocca sta solo cercando una trovata in più per fregarti. Ma il pensiero rimane quello che esce dalle corde, la voce è solo un diversivo. Non c’è niente da fare, il campione non distingue tra gesto e pensiero, gli altri usano la bocca perché con la racchetta non sanno parlare”.

Il gelo più inespressivo scolpito tra rughe. La maschera di sempre, perché mai cambiarla?
In campo Milos ed Andy, fuori John e Ivan. La più nuova delle sempre più numerose finali ombra degli ultimi due o tre anni. Chang, Edberg, Becker, Ivanisevic, McEnroe, Lendl, un vero e proprio circuito nascosto passato dai campi ai box. Sembra proprio che certe rivalità non possano finire mai, che non debbano finire mai.
Sembra di vederli, due ragazzini biondi al posto di Djokovic e Federer.
Sembra di vederlo, il newyorker fissare il ceco dall’altra parte. Sembra di vederlo ancora, Mac, fissare quel ragazzo strano, che ciondola odioso per il campo e che si strappa le ciglia. Non lo capiva trent’anni fa, credo non l’abbia ancora capito (e forse viceversa).
John e Ivan non si sono mai, veramente capiti per le stesse ragioni per cui un uragano non ha mai parlato ad un fiume.

Dal centrale si leva il vociare delle grandi occasioni, sull’erba esausta si riversano raccattapalle e giudici al completo, compaiono in un battito di ciglia il tavolino, i duchi del Kent e il Santo Graal di questo gioco.

“Sarà per la prossima, Milos...ma quella volée...”. Le grandi cuffie di ESPN si fanno ancora più pesanti, anche più della coppa.

“Niente di eccezionale, ma evidentemente è bastato. Forse tra un’oretta andrò a farmi una birra. Ma quella coppa...Alzala Andy, alzala, e dalle un bacio da parte mia”.

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