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Calcio, Tennis, Rugby sono solo alcuni degli Sport che la Gran Bretagna sostiene, con abbondante ragione, di aver inventato, esportato e reso famosi in tutto il mondo. I primi club, le prime squadre, i primi tornei e campionati hanno visto la loro alba sotto il cielo spesso plumbeo d’oltre Manica.

Nel 1823 uno studente di Rugby marcò la prima meta della storia dando il via ufficioso allo sport della palla ovale. L’ufficialità ci fu nel 1871 quando la federazione Rugby si staccò definitivamente da quella del football (calcio). Il calcio a sua volta si istituzionalizzò nel 1863 in una taverna di Londra dove nacque la Football Association (FA) anche se la prima squadra, lo Sheffield Football Club esisteva già dal 1857. Per il tennis, come esaustivamente spiegato nel nostro menu sulla Storia del gioco, il colpo di starter fu il torneo di Wimbledon del 1877.

Per i primi decenni ovviamente, i britannici sia in campo individuale che di squadra dominarono la scena mondiale conquistando tutti o quasi i tornei e i match che vennero disputati. A Wimbledon, per esempio, 32 delle prime 33 edizioni furono vinte da un giocatore di casa lasciando presagire una supremazia totale.
Una certa supponenza aristocratica e una globalizzazione che poco si addice agli standard britannici, hanno però ben presto fatto precipitare le quotazioni dei sudditi della regina in tutti gli sport, anche da quelli da loro inventati. Il senso di superiorità divenne evidente già dall’inizio del ‘900 quando la FA non si iscrisse alla neonata FIFA (solo nel 1946 ne divenne membro) e la nazionale di calcio non partecipò ai mondiali fino al 1950 quando venne eliminata da Stati Uniti e Spagna. In questo modo i britannici non ebbero mai la possibilità di confrontarsi con il resto del mondo e di conseguenza di crescere e migliorare con lo stesso ritmo degli altri paesi.

Il declino sportivo a livello mondiale continuò anche dopo le due guerre e, tranne episodi saltuari, continuò fino all’inizio degli anni 2000. Nei tre sport di origine anglofona, nella seconda metà del 1900 venne vinto un solo alloro, il mondiale di calcio del 1966 peraltro disputato in casa. Per il resto buio completo. Nessun europeo vinto, nessun titolo dello Slam in bacheca, nemmeno una coppa del Mondo di rugby da offrire alla propria regina.

Nel terzo millennio un accenno di ripresa iniziò a diffondersi grazie anche e soprattutto ad una politica scolastica decisamente orientata all’abbinamento studio-sport con forti incentivi per gli abitanti delle zone meno centrali come Scozia e Galles. Nel 2003 la nazionale inglese vinse la coppa del mondo di Rugby e uno scozzese dai capelli rossicci iniziò ad affacciarsi al mondo Junior prima e ATP poi: Andy Murray. Andy nel 2004 si aggiudicò il titolo giovanile degli US Open e nel 2006 entrò nei primi 50 giocatori della classifica ATP. Poco dopo anche tra le giovani ragazze una speranza scosse il mondo della Union Jack con Robson e Watson a trionfare nel 2008 e 2009 rispettivamente a Wimbledon e US Open. Purtroppo la loro carriera non prese il volo come quella di Murray e, anche a causa di molti infortuni, non stanno performando come tutti si aspettavano.

Sulla spinta anche emotiva delle prime vittorie di Murray, il movimento britannico ha iniziato a smuovere i suoi arrugginiti ingranaggi portando alla vittoria Slam (sempre Junior) un altro giocatore, Golding che nel 2011 sia aggiudicò gli US Open. Purtroppo però le speranze furono vane visto che la sua miglior classifica fu 324 ATP nel 2014. Quello di Golding non è però un caso isolato. Molti giocatori entrano in classifica discretamente giovani salvo poi non riuscire a fare il salto di qualità definitivo. Cox, Klein, Evans, Ward sono solo alcuni dei nomi di giocatori che poco più che ventenni potevano vantare un top ranking vicino alla posizione 200 ma che non sono poi riusciti ad andare oltre.

Dopo un primo scossone, Murray ha dato una seconda spallata al movimento nel 2012 e soprattutto nel 2013, quando vinse prima il titolo Slam a New York e poi, finalmente, la vittoria più ambita, prestigiosa, emozionante. Quella di Wimbledon. 77 anni dopo Fred Perry. 77 anni dopo l’ultimo vero campione britannico. Da questa seconda ondata di entusiasmo è nato Edmund, classe 1995 che piano piano sta scalando la classifica e sta giocando un 2016 di buonissimo livello. Oltre a lui però rimane ben poco con Broady (1994) oltre la posizione 200 e il primo teen alla posizione 1124 (Joel Cannell). Alla sua età Murray era 64....
Nel 2015 e 2016 tutta la famiglia Murray, e non solo Andy, ha assestato un nuovo colpo propulsivo al tennis inglese, dapprima conquistando la Coppa Davis e poi issando Jamie al numero 1 della classifica ATP di doppio. Se non succede niente di importante e positivo con tutti questi incentivi sportivi, mediatici e di rimbalzo finanziari nei prossimi anni, crediamo che sarà molto molto difficile anche solo avvicinarsi ai fasti di un tempo.
Mostriamo ora la progressione degli ultimi 15 anni di tennis maschile.

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Sostanzialmente poco è cambiato a livello generale sia in termini di classifica media che di età. Ciò che cambia sono le eccellenze sia assolute (il numero 1) che relative ai top 100 passati da 1 del 2011 ai 4 del 2016. Paradossale poi il caso del 2006 con il numero 1 soltanto al numero 41 ma con la media più bassa di tutto il terzo millennio. A parte Murray c’era una buona base a livello medio che però non si è tradotta negli anni seguenti in risultati importanti. Il 2016 sta evidenziando il già citato Kyle Edmund ed altri due giovani come Broady e Glasspool in forte crescita (quest’ultimo oltre 100 posizioni guadagnate negli ultimi 4 mesi) ma ancora lontani dai vertici assoluti. Non c’è da stupirsi quindi se al prossimo Wimbledon solo 3 giocatori avrebbero diritto di classifica al main draw. A questi vanno aggiunti altri 4 tennisti grazie a Wild Cards degli organizzatori; 4 giocatori (Klein Broady, Ward, Ward) che sarebbero stati a loro volta gli unici a poter partecipare alle qualificazioni. Avendo 6 WC a disposizione anche per le quali, sono state assegnate a 6 tennisti britannici (escluso il giovane Bambridge a favore del trentaseienne Willis) dei quali nessuno ha reali ambizioni di accedere realmente ai campi di Curch Road.

In attesa di vedere se Wimbledon regalerà nuova linfa e nuove speranze al movimento britannico: God save the Queen....and the British tennis!

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