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Il tennis è uno sport individuale, equiparabile a un’arte e a una scienza, ma più semplicemente dove si compete soli o al massimo in coppia come nel doppio. Inviare la palla nel campo opposto facendo in modo che l’avversario non riesca a fare altrettanto è lo scopo fondamentale del gioco che in altre parole consiste nell’ottenere il punto. Tre sono i modi per arrivarci. Il primo attraverso l’errore gratuito, quando un giocatore sbaglia da solo. Il secondo quando un contendente viene costretto all’errore, perché si trova nella condizione angusta con poco margine di spazio e di tempo per giocare. Infine, la terza modalità è il vincente, dove la palla inviata non viene neppure intercettata.

Il vincente rappresenta l’ “X Factor” per eccellenza che certifica superficialmente il gioco del campione. Lo stesso si racchiude tra il 35 e il 40% dei punti giocati quando si incontrano nella partita dell’anno i primi giocatori del mondo. Il secondo modo, l’errore procurato, è invece il crocevia su cui nascono i successi in questa disciplina, ad ogni categoria. A livello di vertice si eleva addirittura fra il 35 al 45% delle situazioni di gara. Mentre il primo, l’errore gratuito, è l’autentico nucleo del pianeta tennis. Nessuna partita è mai stata priva di errori. Tra i super campioni, a seconda delle superfici, si attesta tra il 20 e il 30% dei punti di una partita. La grande differenza che distingue i campioni dagli altri tennisti, consiste nel fatto che gli stessi non sono ostaggio degli errori. Sbagli dai quali, i veri fuoriclasse, traggono preziose indicazioni strategico tattiche per lottare fino all’ultimo respiro, fino all’ultima palla.

La mutevolezza e la ricchezza delle situazioni ambientali obbligano continuamente i tennisti a prevedere le mosse avversarie e le evoluzioni della palla che, pur restando il medesimo oggetto, cambia di volta in volta figura e valore come il lancio della moneta e le sue proverbiali facce. Valore che in particolare la palla assume anche a seconda del punteggio. Autentica bussola che orienta le scelte di chi naviga all’interno del campo. Tutto ciò comporta l’elaborazione di piani e di azioni di gioco, supportate da movimenti che si adattano allo scopo fondamentale della disciplina che, ricordo ancora una volta, consiste nel vincere il punto.

Gli elementi che il tennista deve affrontare, come abbiamo visto, sono moltissimi. Tra questi, due sono quelli fondamentali. Come suggerisce il fisico americano Prof. Brody il primo fattore è imprescindibile perchè la palla deve essere sempre in campo. Mentre il secondo fattore varia in relazione al livello e le caratteristiche dell’avversario correlate al proprio saper fare. In parole semplici bisogna in primis ricordare sempre di tirare dentro alle righe e solo in secondo luogo cercare di far arrivare nel campo opposto una palla velenosa. Se al contrario si ha principalmente in testa giocare dei vincenti per tagliare fuori dal gioco l’avversario, durante una partita equilibrata ci si troverà nel buco nero dell’errore gratuito. Se l’errore gratuito non viene contenuto nella sua percentuale fisiologica il suo peso diventa un’emorragia impossibile da frenare. Ricordate, se sbagliate molto da soli (errori gratuiti) non sarete mai competitivi né tra gli amatori né tra i professionisti.

Il tennis è quindi uno sport di percentuale, rapido, preciso in condizioni variabili ad elevata difficoltà cognitiva e coordinativa. Ridurlo, come spesso accade, a fenomenologia del gesto esecutivo o peggio ancora a “bracciologia”, può risultare elegante e suggestivo nelle descrizioni letterarie per chi ha dote e genio nella scrittura, ma nel contempo non arriva neanche a descriverne la complessità dell’arte, figuriamoci poi della scienza. Il gioco del tennis è ben oltre il dritto e il rovescio e le fantastiche atmosfere dei suoi palcoscenici. L’universo tennis è un cosmo vastissimo, dove molteplici elementi collaborano, e di repente viceversa competono fra loro, in un balletto infinito. E’ uno sport dove il logoramento psicologico gioca un ruolo determinante, dove l’individuo è solo coi suoi pensieri.

Dunque il tennis è uno sport per solitari?

In prima battuta la risposta è si. Il tennista è una figura solitaria con pensieri appartati che attraverso caratteristiche individuali fornisce personali interpretazioni del tennis. Forse è proprio questo il principale motivo che ha determinato stili diversi, se non addirittura contrapposti, nei tennisti che hanno attraversato la storia di questo sport. Malgrado ciò non si può affermare che il tennista sia correlabile a una sorta di eremita proprio perché egli è costantemente contrapposto a un avversario. Il rapporto che passa tra due menti è possibile definirlo “Scambio” ed è forse l’esperienza che meglio contiene filosoficamente questa disciplina. Un’opera che ha saputo illustrare magnificamente questo tema è la celebre “Fenomenologia dello spirito” scritta da Hegel, dove il filosofo tedesco ha illustrato il concetto di scambio che è anche alla base del tennis.

Psicologicamente lo scambio nel tennis costituisce il riconoscimento di sè e dell’avversario. Al contrario, chi entra in campo con l’intenzione di annientare il proprio contendente, visto come il nemico da abbattere non da superare, distrugge la possibilità stessa dello scambio, quindi della relazione. Questa visione sbrigativa, agevolata dagli attrezzi di nuova generazione in particolare dal doppio tentativo del servizio, comporta attraversare in solitudine l’Odissea della partita. Il rischio è quello di smarrirsi quando si è chiamati ad affrontare imprevisti e momenti sfavorevoli. Ecco forse spiegate prestazioni a volte improbabili di molti giocatori contemporanei. Tuttavia, se ci fate caso, i grandi campioni non viaggiano mai soli. La loro arte e la loro scienza si fonda immancabilmente sulla relazione, in altre parole tengono sempre conto dei punti di forza e di debolezza propri e dell’avversario. E laddove alzano i toni e producono vincenti, li stessi sono sempre parte di un quadro e di una trama precisa, non sono mai frutto del caso o peggio ancora dell’estemporaneità.

Forse la grande bellezza nel gioco del tennis si racchiude semplicemente nell’azione che collega il pensiero alla racchetta. Possibilmente si cela nella capacità di vincersi e contenere l’emozione nei momenti cruciali dell’incontro mantenendo la mente fredda. E forse, ancor più, si nasconde dietro a un difetto o presunto tale. Un gesto apocrifo che invece costituisce una risorsa e sorprende costantemente per la sua natura inattesa. Se pensiamo un momento al dritto rotante di Borg, al servizio ruotato di McEnroe, al tennis tutto bimane della Seles, allo schiaffo al volo di Agassi, al gancio mancino di Nadal, riusciamo a capire qualcosa di più. Tutti campioni che a loro modo hanno lasciato un segno profondo nella storia del gioco.

Eppure, quando in campo non giocano campioni noti e riconosciuti, le gesta esecutive fuori dai canoni convenzionali vengono sovente percepite come limitanti, brutte, una sorta di anti tennis. Un fatto che si ribadisce costantemente, come ad esempio è avvenuto nella recente finale WTA degli Open del Lussemburgo. Una sfida tra la ceca Petra Kvitova, già campionessa a Wimbledon, e la minuta “Cenerentola” rumena Monica Niculescu. Ebbene, la Niculescu ha dato prova di quanto il tennis sia il gioco della mente e del corpo, irretendo la Kvitova nel suo tennis “tagliatella”, resuscitando palle impossibili con recuperi strabilianti. La povera Petra ha tentato di sovrastare Monica con la potenza a suon di vincenti, ma si è presto spenta e la “retta via era smarrita”, come direbbe il sommo poeta.

Incapace di ipotizzare, né tantomeno di realizzare un possibile rientro, Petra Kvitova ha gettato la spugna, in una delle giornate più buie del suo tennis. Pertanto il gioco tagliato della Niculescu ha avuto la meglio, pur rimanendo sgradito al gusto di una parte degli appassionati, in particolare quelli che si esprimono a volto coperto sui vari social. Durante la premiazione nel discorso di rito, la piccola Monica non riusciva più a contenere l’emozione e il fiume di parole. E qui, di repente, si è ritrovata come per incanto Petra Kvitova, la campionessa di Wimbledon. La tennista ceca ha celebrato con grande fair play la vittoria della rumena, partecipando con distinta signorilità alla festa dell’avversaria. Un magico momento, a suo modo parte integrante della grande bellezza di questo sport chiamato tennis.

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