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Il racconto di questo 2016 tennistico, inizia con la disamina della peggior partita dell’anno: la finale di Wimbledon. Certo... guardando qualche primo turno dei tornei ATP 250 ci è capitato di vedere match di bassa qualità. La nostra scelta, quindi, è ricaduta su quello che ha più deluso in relazione alle aspettative.

Queste, nascono dal fascino che caratterizza il torneo di Londra. Un evento unico, su una superficie magica, che solo la capitale inglese potrebbe ospitare con simile classe e cura nell’organizzazione. Giocare sull’erba è d'altronde un sogno che pochi amanti di questo sport, a qualsiasi livello, hanno avuto la possibilità di trasformare in realtà. Il torneo di Wimbledon, anche per questo, è l’appuntamento che ogni giocatore aspetta con più ansia e che prepara in modo maniacale.

In fondo alla competizione arrivano i più forti, quelli più attenti ai dettagli. Quest’anno, il giocatore che grazie alla sua abnegazione e attenzione è riuscito a conquistare la finale, è stato il canadese Milos Raonic.

La sua cavalcata è stata ricca di difficoltà, come quelle dovute affrontare negli ottavi contro Goffin, con il quale dovette rimontare uno svantaggio di due set. È stata imprevedibile nei quarti, dove si sarebbe aspettato di trovare Djokovic, che invece perse al terzo turno contro Sam Querrey. È stata sontuosa nella semifinale contro il naturale interprete della superficie, Roger Federer, in seguito alla quale aumentarono ulteriormente le aspettative sullo spettacolo della finale.

Il suo avversario, lo scozzese Andy Murray, dopo un inizio di stagione in sordina, cominciava a crescere. Senza fare troppo rumore aveva vinto il torneo di Roma e il Queens ed arrivava in finale a Wimbledon dopo aver concesso soltanto due set in tutto il torneo, nel match dei quarti contro Tsonga.

Tracciando il percorso dei due giocatori, possono intuirsi quali furono i fattori che indirizzarono le sorti di quella domenica di metà luglio a favore del padrone di casa. Troppe le pressioni sulle spalle di Raonic: primo, sia tra tutti i tennisti canadesi della storia che tra gli atleti in attività classe 90 a conquistare una finale Slam. Troppi rumors sull’impresa in semifinale contro Federer, che sognava di conquistare Wimbledon per l’ottava volta staccando Sampras. Troppo anche il carico di energie fisiche e mentali accusate per arrivare in fondo a quell’avvenimento così importante.

Dall’altra parte della rete, Murray, pur giocando con la pressione di dover fare risultato, vantava un’esperienza non paragonabile a quella di Raonic, il tifo del pubblico e una condizione fisica ottimale, grazie all’agevole percorso affrontato fino a quel momento nel torneo.

Lo scozzese, sin dall’inizio sembrava aver la partita in tasca. Dopo il primo set, conclusosi con il punteggio di 6 giochi a 4, grazie all’unico break visibile in tutto l’incontro, l’andamento della partita è rimasto piatto. Mai una possibilità per Raonic di rientrare in gara; due sole palle break ottenute e non sfruttate; entrambi i set finali terminati noiosamente al tie break, nei quali il canadese ha conquistato la somma di 5 punti (3 nel tie break del secondo set, 2 in quello del terzo set). Insomma, Raonic non ha mai dato l’impressione di poter impensierire il suo avversario e dal punto di vista dell’andamento della partita, ciò che ha contribuito a renderla la peggiore di quest’anno, è stata la totale mancanza di patos. Murray ha sempre avuto tutto sotto controllo.

Come può spiegarsi tutto questo? Oltre alle difficoltà già citate, che inevitabilmente doveva affrontare Raonic alla sua prima finale Slam, va detto che il canadese ha giocato una partita al di sotto degli standard visti nel corso del torneo.

Il servizio, che rappresentava l’arma principale del canadese e che avrebbe dovuto consentirgli di accorciare i lunghi scambi a cui l’avrebbe sottoposto Murray, non ha funzionato. Un solo ace in più del suo avversario, pochi punti messi in cassaforte in modo diretto e solo il 64% di punti conquistati dopo aver messo la prima di servizio in campo (87% le percentuali di Murray). Fa addirittura meglio con la seconda palla, con la quale porta a casa il 71% dei punti giocati. I motivi risiedono oltre che nella tensione anche nei meriti del suo avversario: il giocatore più bravo del circuito a intercettare la palla in risposta.

Sull’erba, essere in grado di far ripartire il gioco stando vicino al campo fa la differenza, perché consente di impattare la palla prima che acquisisca una velocità troppo elevata e angoli eccessivamente acuti. Raonic aveva infatti subito nei quarti di finale i tempi di gioco del belga Goffin, che proprio come lo scozzese è maestro nel rispondere con i piedi in campo.

Oltre al servizio, non ha funzionato nemmeno il dritto di Raonic: quel colpo che gli avrebbe permesso di acquisire vantaggio nello scambio per non farsi spostare troppo dal suo avversario, uscire da situazioni scomode e quando opportuno, capitalizzare il vantaggio ottenuto nell’inerzia dello scambio. Troppi gli errori con questo colpo e poche le occasioni di giocarlo in situazioni di estremo vantaggio.

La finale di Wimbledon, pur non avendo rispettato le attese, ha consentito a Murray di aprire la striscia di vittorie che lo ha portato in vetta alla classifica ATP nella seconda parte di stagione. La peggior partita dell’anno, probabilmente, è servita anche a Raonic, che chissà... l’anno prossimo potrà essere in grado di affrontare un’eventuale finale in un modo diverso.

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