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La storia del tennis e dei suoi grandi campioni tra le due guerre mondiali

 

Nel 1918 alla fine della grande guerra i disastri prodotti erano incalcolabili. Il mondo faticava a ripartire e quindi anche tutto l’universo dello sport. Molti tennisti erano partiti per il fronte, diversi non erano più tornati. Malgrado ciò, durante il conflitto il tennis era diventato uno sport popolare, sopratutto perché era praticato dai soldati, anche quelli di opposte fazioni. Questa fenomenologia prese corpo perché la disciplina era ritenuta dai comandanti una pratica sportiva salutare per mantenere la condizione psicofisica delle truppe.

Al termine delle ostilità non fu difficile per il tennis riprendersi, dato che in America non aveva subito interruzioni e poteva inoltre contare sull’organizzazione dell’impero britannico. Oltre a ciò l’intero movimento ruotava attorno a Wimbledon e alla capitale inglese, e Londra in quegli anni rappresentava il centro del mondo. Nel 1919 la Coppa Davis rimase in Australasia che vinse contro la Gran Bretagna 4 a 1 grazie a Norman Brookes e a Gerald Patterson che quell'anno si aggiudicò anche i Championship a Londra.

Gli anni venti iniziarono in modo spettacolare e prorompente. Nel 1921 il Giappone arrivò alla finale di Davis, prima squadra oltre a Stati Uniti, Gran Bretagna e Australasia a contendere la Coppa. Sempre quell'anno fu introdotta la regola del fallo di piede nel servizio in modo da contenere lo strapotere della battuta che si era già rivelata quale arma principlae del gioco. Eppure i servitori trovarono gli aggiustamenti adeguati per mantenere il controllo della situazione.

Nel 1922 le nazioni che partecipavano alla Coppa Davis erano diventate quattordici, tra cui l’Italia alla sua prima partecipazione. L'anno successivo l'Australasia si divise in due squadre, australiana e neozelandese.

Ancora nel ‘22 il tempio di Wimbledon lasciò per sempre la formula del Challenge Round che consentiva al campione in carica di attendere lo sfidante, proveniente da un torneo di qualificazione, per lo scontro finale. Quindi da quell’anno in poi la manifestazione adottò la formula classica a eliminazione diretta fin dal primo turno, detentore del titolo incluso.

Durante quella stessa stagione il torneo di Wimbledon traslocò da Wrople Road in Church Road (sede attuale) dove fu costruito un nuovo impianto, nacque così il mitico “Centre Court”. Questa necessità fu causata dalla crescente massa di appassionati che si riversava sul tennis per vedere all’opera i miti della racchetta. Tra queste personalità spiccavano la tennista francese Suzanne Lenglen e l’americano William Tatem Tilden.

Suzanne Lenglen, soprannominata “Divina” dominò la scena dentro e fuori dal campo. Non si era mai vista una donna muoversi sul terreno di gioco in modo così atletico, servire e tirare di dritto con tanta potenza, quasi alla pari di un uomo. Superata in Francia la rivale Marguerite Broquedis, già campionessa olimpica a Stoccolma nel 1912, Suzanne si presentò a Wimbledon alla sua prima a gambe e braccia nude, facendo gridare allo scandalo.

La sua gonna a pieghe e il cardigan smanicato, il tutto rigorosamente bianco, erano opera della rivoluzione del francese Jean Patou, il sarto delle sportive e delle regine. In seguito, negli anni trenta, l’immagine della Divina fu seguita dal sarto inglese Ted Tinling che poi vestirà moltissime campionesse della racchetta fino agli anni settanta.

Malgrado le stravaganze di Suzanne Lenglen il suo tennis alla dinamite fu vincente e superò di slancio pregiudizi e avversarie, tra le quali l’inglese Dorothea Chambers. Suzanne vinse le Olimpiadi di Anversa nel '20 e per sei volte ai Championship dal '19 al '25. Per molti anni a venire costituì un cambiamento radicale nel costume e nella moda che portò il pianeta donna ad emanciparsi. Per la cronaca in Inghilterra durante quegli anni le donne ottennero il diritto al voto a seguito di aspre battaglie civili.

Del resto Willaim Tatem Tilden non fu da meno. Da quando spodestò il suo rivale in patria William Johnston campione americano del '18 e del '19, spese la sua vita per il tennis per ottenere il riconoscimento per il lavoro svolto dai giocatori sul campo. Egli è stato, oltre al celebre campione di tennis noto nel mondo un intellettuale, amante del teatro, nonché amico fraterno del Dickens del cinema Charlie Chaplin, a sua volta grande appassionato e praticante del gioco.

Tilden, conosciuto anche come Big Bill, era un giocatore dal fisico imponente che raggiungeva quasi il metro e novanta di altezza. Egli fu il primo americano a vincere Wimbledon e divenne il Signore della Davis per sette anni consecutivi. Circa le relazioni internazionali dell’epoca tra i vari paesi egli affermava: “un incontro di Coppa Davis è più di una lettera della Casa Bianca”. Inoltre Tilden stabilì il record di dieci finali e sette titoli ai Campionati Americani, oggi noti come US Open.

Big Bill fu il primo campione dal servizio esplosivo. Pur giocando prevalentemente da fondo campo sapeva fare tutto e nei suoi scritti, oltre trenta libri sulla disciplina che costituiscono la base dell’insegnamento moderno, teorizzò il tennis percentuale a tutto campo. In altre parole questo campione rappresentava l’evoluzione di Brookes, disponendo però di maggior potenza e varietà esecutiva.

Tilden e la Lenglen trasformarono il tennis portandolo a una dimensione superiore, traducendolo rapidamente in fenomeno di massa. Essi furono anche le prime grandi personalità a rompere le regole del sistema mondiale e lanciare la disciplina nel professionismo. Il tennis sotto l’egida della federazione internazionale non lascava guadagni ai giocatori che erano tenuti a rispettare lo status di dilettanti. Anche l’insegnamento del tennis era proibito, pena la scomunica a vita dal circuito dei tornei, Coppa Davis inclusa.

Nel 1927 quando Tilden fu detronizzato in Davis a Philadelphia dai giovani moschettieri di Francia Lacoste, Cochet, Borotrà e Brugnon, la Divina Lenglen insieme al compagno di doppio di Tilden, l’olimpionico Vincent Richards, passarono al professionismo. La prima di Suzanne fu al Madison Square Garden di New York con 14.000 paganti sugli spalti contro l’americana Mary Browne.

Questo evento sconvolse il mondo dello sport che espulse repentinamente il tennis dalle imminenti Olimpiadi di Amsterdam del 1928 per il timore che altri tennisti, e soprattutto gli atleti di altre discipline, seguissero le orme della Divina. Questa immensa campionessa a fine carriera si dedicò all’insegnamento, realizzando il progetto per le scuole tennis della federazione francese.

Dal canto suo Big Bill tardò qualche anno a compiere il passo di Suzanne, questo perché erano nati da poco i Campionati di Francia (1925) aperti finalmente anche ai giocatori stranieri, dato che fin dal loro inizio nel 1891 erano riservati ai soli tennisti transalpini. Questa novità, a differenza degli altri eventi mondiali, si disputava sui campi in terra battuta in modo da contrastare l’egemonia della superficie in erba.

Nel 1927 la manifestazione venne definitivamente assegnata a una diversa destinazione, dove sorgeva il nuovo stadio intitolato all’eroe francese della grande guerra, l’aviatore Roland Garros. Proprio quell’anno Tilden arrivò a Parigi per inaugurare la nuova struttura e sfiorò il titolo. Egli infranse il suo sogno contro la tenacia e la regolarità estenuante di Renè Lacoste, novello Lawrence Doherty, perdendo 11 a 9 al quinto set un incontro epico.

Ciononostante, prima di abbandonare il glamour dei grandi tornei e la Coppa Davis, Big Bill tentò di inseguire altri successi. Trionfi che puntualmente arrivarono con il tiolo ai Campionati Americani del 1929 e la prima edizione dei Campionati Internazionali d’Italia del 1930. La consacrazione tildeniana però avvenne poco dopo e sempre nel ’30 a Wimbledon, dove vinse a ben undici edizioni di distanza dalla sua prima volta, un record ancora imbattuto. Malgrado ciò a trentasette anni suonati alla fine di quell’anno passò professionista con in tasca dieci titoli Slam in singolare e undici in doppio.

La sua carriera fu lunghissima e ogni anno tra i professionisti gli fruttava più di 100.000 dollari a stagione. Egli rimase competitivo fino a quasi cinquant’anni e si dedicò anche all’insegnamento lanciando un progetto negli Stati Uniti nei campi pubblici aperto a tutte le classi sociali. Bill Tilden fu anche uno dei primi coach internazionali perché si occupò della squadra di Coppa Davis tedesca nella seconda calda metà degli anni trenta e in particolare del suo pupillo il barone Gottfried von Craam.

Il passaggio diTilden trasformò il tennis per molti anni a venire perché da quel momento in avanti tutti i più grandi campioni, dopo aver vinto titoli nel circuito dilettanti, seguivano le sue orme. Il novello circuito professionisti era costituito principalmente da tre tornei maggiori, in altre parole da tre distinti "Mayor Pro", ciascuno dei quali denominato “World Pro Championship”. Questi eventi si disputavano a Parigi, a Londra, mentre il terzo si svolgeva negli Stati Uniti tra Boston e New York.

Queste rivoluzioni comportavano lo svuotamento in termini di qualità delle squadre nazionali di Coppa Davis e di partecipazione ai tornei, con grande disappunto da parte dei dirigenti delle federazioni e degli organizzatori. Un vero peccato perché da pochissimi anni, per l’esattezza dal 1925, i Campionati Americani, d’Australia e di Francia avevano finalmente assunto lo status di “Mayor” a rimorchio di Wimbledon, sostituendo stabilmente gli eventi del WHCC e del WCCC.

All’inizio degli anni trenta passarono professionisti campioni del calibro del francese Henry Cochet, figlio della classe operaia e tennista dall’anticipo innato ed Ellsworth Vines. L’americano Vines costituiva a quel tempo l’evoluzione del connazionale Maurice McLaughlin, avendo migliorato l’arte del servizio e volèe. Il passaggio di Ellsworth lasciò il campo libero al dilettante australiano Jack Crawford che nel 1933 arrivò ad un passo dal fantastico poker dei tornei Mayor.

Ebbene, proprio a causa di questa impresa il termine “Grande Slam”, mutuato dal gioco del Bridge, apparve per la prima volta nel mondo del tennis. Successivamente anche l’inglese Fred Perry dopo aver vinto, seppur in anni diversi, tutti e quattro i tornei “Mayor” da dilettante passò professionista. Egli è stato l’incontrastato monarca della Davis dal 1933 al 1936 insieme al compagno Bunny Austin, l’inventore dei pantaloncini corti, ed è tuttora parte della leggenda di Wimbledon con tre titoli conquistati consecutivamente. Fred Perry proveniva dalla classe laburista britannica, in campo era un combattente instancabile, capace di leggere come un libro aperto il gioco dell’avversario evidenziandone magistralmente le debolezze.

In seguito, lo stesso cammino di Tilden, di Vines e di Perry fu intrapreso anche dall’americano Donald Budge, primo tennista della storia a firmare nel 1938 il Grande Slam. Il californiano che aveva lasciato la squadra dell’università di Berkeley per entrare nella squadra di Coppa Davis era un giocatore dal fisico possente, superava il metro e ottantacinque e possedeva servizio e risposta devastanti. Donald corrispondeva a un profilo tecnico simile a quello di Tilden, anche se in modo rovesciato. Questo fatto era da imputare al celebre rovescio di Don che fungeva da perno nel gioco di rimbalzo, mentre Bill si affidava viceversa al dritto. 

Don Budge, alla fine della sua magica stagione, passò professionista e poco dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, si arruolò nell’esercito che lo portò a combattere nel Pacifico, dove riportò una ferita alla spalla. L’uscita di scena di Budge dal tennis dilettantistico a fine ‘38 spalancò il cammino al più grande giocatore dilettante di sempre non appartenente alla nazionalità britannica, americana, australiana e francese. Nello specifico mi riferisco al barone tedesco Gottfried von Craam, tennista dalla classe infinita che incarnava il “clichè” del perfetto gentiluomo. Il barone per ovvi motivi legati al suo lignaggio non passò mai al professionismo.

Però, verso la fine degli anni trenta, Gottfried von Craam ebbe numerosi problemi per causa del regime nazista che limitò pesantemente la sua carriera. Di questa circostanza approfittò un altro giocatore americano, il californiano Bobby Riggs, che vinse Wimbledon e i campionati statunitensi nel 1939. Sempre quell’anno Riggs insieme al connazionale Frank Parker, perse in casa una Coppa Davis già vinta. In vantaggio per due a zero sull’Australia gli americani si fecero rimontare tre a due. L’impresa dei canguri fu realizzata da Adrian Quist e da John Bromwich, primo grande campione a giocare un tennis tutto bimane.

Gli australiani formavano una coppia di doppio eccezionale. Nella specialità erano gli autentici eredi dei fratelli inglesi Doherty. La riscossa australiana iniziò proprio dalla vittoria nella doppio, seguita passo a passo da Harry Hopman il capitano di Davis che si rivelò in seguito il più vittorioso di sempre. Questa impresa rimane ad oggi una delle più grandi nella storia del gioco.

Allo stesso tempo, in ambito femminile, non accadde lo stesso fenomeno del professionismo che cambiò il volto del tennis maschile, almeno per dimensioni e risonanza. Le più forti giocatrici rimanevano di norma ancorate al tennis dilettantistico il quale, dopo Suzanne Lenglen, vide sul trono di Wimbledon la britannica Kitty McKane, poi seguita dalla fortissima americana Helen Wills.

La Wills, già verso la fine degli anni venti, cannibalizzò letteralmente la disciplina come solo la Divina aveva saputo fare. Tra le due grandi stelle della racchetta esiste un solo precedente disputato prima che la Lenglen passasse al professionismo. L’episodio risale a Cannes nel 1926 in quella che molti definirono la partita del secolo. Vinse Suzanne in quasi due ore di battaglia per 6/3 8/6. Ciononostante Helen Wills nei suoi giorni migliori lasciò solo le briciole alle sue malcapitate avversarie.

Helen Wills aveva un fisico imponente, un gioco solido da fondo campo che esprimeva grande potenza. Una tennista che elevò nel tempo la disciplina del tennis femminile attraverso un impiego costante di attacchi verso la rete. L’eredità di Helen fu raccolta dalle sue connazionali Helen Jacobs, Alice Marble e Pauline Betz, prima che i bombardamenti della seconda guerra mondiale oscurassero nuovamente il teatro dei gesti bianchi.

 

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