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Sembra ieri quando non ancora adolescente giocavo nei week end alla corte di Beppe Merlo, indimenticabile campione degli anni cinquanta e sessanta.

Beppe mi fece addirittura scambiare colpi con i suoi amici campioni venuti a Milano per curare degli Stage. Ricordo Davidson, Seixas e il grandissimo Frank Sedgman, incrociare la racchetta con loro fu un’emozione che ancor oggi conservo gelosamente. Ultimamente, grazie all’amico Andrea nipote del mitico Beppe, ho avuto l’opportunità di incontrare ancora il vecchio campione e maestro.

Arrivato a casa Merlo ci accomodiamo in salotto sedendoci sul divano e con un pizzico di orgoglio faccio dono a Beppe del mio ultimo libro "Il Codice del Tennis Bill Tilden arte e scienza del gioco".

Una pubblicazione giunta al Museo di Wimbledon introdotta da John Newcombe e da Gianni Clerici. Un testo che narra le gesta e il pensiero di Tilden, il Leonardo da Vinci del tennis. Beppe mi sorride in modo paterno e dice che l'età avanzata lo aiuta a ricordare meglio le cose del passato e quindi ha una storia particolare da raccontarmi.

Una storia da raccontare

La guerra era da poco finita e correva l'anno 1951.

La federazione italiana tennis decise di mandare in America due giovani tennisti poco più che ventenni, Beppe Merlo e Fausto Gardini.

I due baldi giovani vennero spediti in California destinazione “la Jolla” vicino a San Diego, alla corte di Eleanor Tennant la maestra di Alice Marble e di Maureen Connoly.

Beppe e Fausto parlavano poco inglese, quindi cercarono di farsi apprezzare per il loro tennis. Il compito non fu facile perché i loro stili personali erano opposti alla visione gestuale della tecnica comunemente ritenuta ortodossa. Un fatto che ahimè trova riscontro ancor oggi.

In principio la Tennant tenne i ragazzi sotto osservazione facendoli giocare solo con le donne. Quindi, senza farsi trarre in inganno dalle apparenze, comprese l'arte di Beppe e Fausto e non apportò loro alcun cambiamento tecnico. Di li a poco decise che i giovanotti avevano ultimato l'ambientamento e li fece trasferire a Los Angeles, nella sede in cui si allenavano i grandi campioni a stelle e strisce.

Nella città degli angeli però giocavano gli dei della racchetta come Donald Budge, Bobby Riggs, Jack Kramer e Pancho Gonzales.

Un bel giorno, tra un set e l'altro, arrivò un invito per un prestigioso evento presso una misteriosa villa sulla collina di Beverly Hills. Tutti i tennisti erano stati invitati.

Il giorno arrivò, caldo e luminoso come unicamente il sole californiano sa essere. Budge, Kramer e Gonzales con al seguito gli spauriti Merlo e Gardini si recarono alla festa.

L'ingresso alla villa era faraonico, la sicurezza sparsa in ogni dove. Arrivati nel giardino pareva di essere giunti nell'Eden, dove bellezza e fasto si fondevano nei colori più incredibili mescolandosi a profumi esotici. Tra gli invitati spiccavano le personalità del mondo dell'arte, in particolare della pittura, della letteratura, della musica, del cinema e del teatro.

L’aria era densa di un’atmosfera che sembrava quella del romanzo di Scott Fitzgerald “Il grande Gatsby”. Infatti, il padrone di casa pareva assente e d'un tratto Greta Garbo, si proprio lei la diva di Hollywood, richiamò l'attenzione generale verso il campo privato da tennis perché era li presente l'attrazione principale dell'evento.

Tutti gli ospiti corsero a prendere posto ai lati del campo, anche i grandi tennisti Budge, Kramer e Gonzales si fecero spazio tra la folla per assistere all'occasione.

Ebbene, nei pressi della rete giganteggiava elegante e affascinante l'anfitrione della festa. Si trattava di William Tatem Tilden, campione dei campioni e maestro dei maestri, meglio conosciuto come Big Bill.

A quel punto Tilden spiegò lo sviluppo dell'iniziativa e quindi invitò a una sfida, sulla distanza di un set, prima Beppe Merlo e poi Fausto Gardini. L'emozione era tale che di repente i corpi di Beppe e di Fausto parevano pesare come massi di pietra.

Nel contempo, proprio prima dell'inizio delle esibizioni, apparve improvvisamente un uomo che polarizzò l'attenzione generale. Al suo passaggio vi fu un grande applauso e quando arrivò al campo abbracciò fraternamente Bill Tilden ringraziandolo pubblicamente.

Questa figura era il padrone di casa finalmente arrivato tra i suoi ospiti. Era il Dickens del cinema, l'inarrivabile e irripetibile Charlie Chaplin.

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