Come forse già sapevate, il servizio è uno dei colpi più studiati da tutti i ricercatori del mondo. Le ragioni sono molte, in primis essendo un movimento closed skill è più facile da indagare, in seconda battuta essendo di gran lunga il fondamentale più importante del tennis odierno, migliorarlo significa diventare più bravi e scalare le classifiche nazionali ed internazionali.
In questo recentissimo studio, un gruppo di ricercatori francesi dell’università di Rennes ha valutato la qualità della battuta ad inizio match, dopo 90 e dopo 180 minuti di gara. L’articolo completo potete leggerlo a questo link:
http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0159979
Otto giocatori tutti destri, classificati N3 ed N4 dlla classifica internazionale che corrisponde ad un valore di 2.5 / 2.8 della nostra classifica nazionale, si sono sottoposti volontariamente a questo protocollo. I partecipanti avevano i seguenti parametri antropometrici (media ± SD):
La loro esperienza tennistica era di 12,2 ± 2,9 anni e la quantità dell’ allenamento era di 5,8 ± 2,6 ore di tennis e di 1,3 ± 0,5 ore di preparazione complementare per settimana.
Per determinare la presenza di affaticamento muscolare sono stati raccolti i dati elettromiografici di 8 muscoli degli arti superiori attraverso massima contrazione volontaria di tipo isometrico. Inoltre, sono stati raccolti i dati della forza di reazione verticale degli arti inferiori, il livello di sforzo percepito, la velocità della palla, e l'altezza d’impatto della palla . Infine sono state valutate alcune variabili cinetiche e cinematiche degli arti superiori.
I risultati mostrano che la maggior parte dei parametri considerati hanno una leggera flessione passando da T0 (inizio match) a T90 (metà gara) a T180 (fine gara). In particolare , una riduzione dell'8% nel MVC come segno di affaticamento muscolare locale. Tutti i muscoli hanno dimostrato segni di stanchezza, con l'eccezione di dentato anteriore, gran dorsale e trapezio centrale. Inoltre, sono diminuite la velocità e l'altezza d’impatto della palla, e gli angoli di chiusura del ginocchio, del polso, di braccio e avambraccio e di velocità di rotazione della spalla. Infine, è decisamente aumentata in tutti i giocatori la RPE ossia il livello di percezione della fatica. Sorprendentemente, non vi sono state differenze significative nei tempi di velocità angolari massime tra T0 e T180.
Questi risultati suggeriscono che meccanismi di compensazione di tipo coordinativo a vari livelli della catena cinematica possono agire per ritardare gli effetti della fatica e cercare di mantenere un efficiente livello della qualità del servizio. I giocatori sembrano proteggere le loro spalle come priorità, dal momento che la spalla è l'articolazione più sollecitata e più vulnerabile durante la battuta. Al contrario, diversi valori cinetici delle articolazioni più distali (polso e gomito) non sono cambiati tra T0 e T180, forse per permettere ai giocatori di mantenere una velocità di palla soddisfacente. In effetti la massima velocità del sevizio è diminuita solo di 6,5 Km/ora .
Gli autori evidenziano anche alcuni limiti del loro studio in particolare, il numero limitato di soggetti, la difficoltà nel posizionamento dei marker per valutare angoli e velocità con elevata precisione, la valutazione di fatica di tipo isometrico contro un azione dinamica qual è la battuta. Ci permettiamo di aggiungere che una velocità di servizio di 45m/sec che equivale a 162 Km/ora evidenzia una abilità medio bassa di questi giocatori nel fondamentale esaminato. Inoltre, i soggetti che si sono sottoposti al test sono piuttosto giovani (età media 20 anni) e si allenano relativamente poco in una settimana (3 sedute da 120 minuti o 4 da 90 minuti). Infine non sappiamo quanto spazio per ciascuna seduta viene dedicato nello specifico al servizio, riteniamo poco.
Quello che desideriamo evidenziare è che anche giocatori di livello nazionale con bassa esperienza e scarse qualità specifiche, sono in grado di mantenere dopo tre ore di gara una buon servizio grazie ad aggiustamenti ed adattamenti di tipo coordinativo. Questi dati confermano quanto abbiamo già scritto nell’articolo dal titolo “ Il tennis è uno sport faticoso ? “ e cioè che le qualità coordinative e senso-percettive di un tennista, sono in grado di far fronte ad un eventuale fatica di tipo organico-muscolare per mantenere a livelli assoluti la performances della battuta. Da qui un consiglio a tutti gli esperti di attività complementare, nei vostri programmi di lavoro date ampio spazio e ampio risalto allo sviluppo dei questi aspetti anche con giocatori maturi ed evoluti.
“Vorrei amare il tennis quanto lo ama Connors”.
Questa frase, cavata dalla bocca di una leggenda del tennis nonché rivale, quasi antagonista di Jimbo, e uomo dal non facile rapporto con tutti i suoi simili come John McEnroe, dà una vaga idea di quanto Jimbo potesse amare questo sport. Quel bizzarro concentrato di nervi, muscoli e chissà di quale altra diavoleria, evolutosi in più di vent’anni sul tour da arrogante ragazzino col caschetto ad eroe che combatte, armato di sola racchetta, l’unico avversario che nessuno è mai riuscito a battere: il Tempo. Di quanto lo potesse amare questo gioco diabolico, cattivo almeno quanto lui, quello che all’anagrafe di East St. Louis, Illinois, risulta essere Jimmy Scott Connors.
Per avere un’idea di quanto l’amasse (e di quanto lo ami) questo strano gioco, Jimmy, bisogna pensare ad un tennista capace di vincere la sua prima finale Slam a Wimbledon contro Rosewall, e di perdere la sua ultima semifinale agli Us Open, contro Courier. Una vita (che potrebbe anche essere la mia al momento) tra il 1974 e il 1991. Lo scrivo per esteso: diciassette anni tra il “muro di rose” che di appassire non ne voleva sapere ed il bruto Courier nel pieno delle forze. 8 titoli Slam in mezzo e 109 titoli vinti complessivamente in singolare, più di chiunque altro. Un’infinità di ore, giorni, mesi sul campo, di punti, game e set. Su tutti i campi più importanti del mondo, su qualsiasi superficie. È lui, infatti, l’unico ad aver vinto lo Slam a stelle e strisce sulle tre diverse superfici su cui è stato giocato. Erba, terra verde e cemento.
L’unico tennista mai esistito capace di ritrovarsi lì, incollato alla linea di fondo, con gli stessi gesti, la stessa identica rabbia, la stessa cattiveria a 18 anni come a 40, con la stessa cieca fiducia nelle sue armi, nel suo anticipo, nella sua risposta, nelle sue gambe, sulla terra come sull’erba, a far da contraerea ad Emerson come ad Edberg.
Players know: i giocatori cha hanno passato qualche annetto sul tour lo sanno, quanto sia difficile, sanno quanto sia difficile gestire la tensione, resistere alla delusione e incassare la sconfitta. Quanto quel campo sappia essere perfido, quanto riesca a distorcere i pensieri, a levare il fiato, a corrodere i legamenti, a sfiancare i nervi. Cosa voglia dire ripetere gli stessi gesti, tutti i giorni, ed avere a che fare per tutti quei giorni, per tutti quei lunghi anni con quella stessa maledetta pallina che riesce a fiutare l’odore della paura per il gusto di tramutarlo in errore.
Provateci, a farlo per quasi 25 anni. Provateci, ad infrangere, come uno scoglio, a farsi passare attraverso come oceani in tempesta tre decenni di tennis. Provateci e tornerete indietro all’inizio o a metà strada perché non eravate abbastanza cattivi, sporchi, arroganti e rabbiosi. Perché magari avevate il talento, perché forse avevate anche la testa, perché lavorando di più o di meno è possibile che siate diventati campioni, ma quando vi sarà bastato, quando ne avrete avuto abbastanza, vi fermerete ancora con un pezzo di strada, con qualche decina di match, con qualche nervo da tendere ancora davanti dicendo “poteva farlo solo quel bastardo di Jim”.
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