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Quindici anni dopo l’attacco terroristico delle Torri Gemelle, la città di New York e l’America intera si stringono, commossi nel ricordo delle vittime a Ground Zero.
Pochi giorni prima di quell’undici settembre che avrebbe per sempre cambiato il corso della Storia dell’uomo, proprio a New York, a Flushing Meadows per l’esattezza si celebrava il primo trionfo Slam di un futuro numero uno del mondo, quel Lleyton Hewitt che di lì a poco sarebbe diventato il più giovane tennista a guidare la classifica ATP.

Oggi, a quindici anni di distanza, nell’Arthur Ashe risuona un inno americano che trasuda di emozioni e sentimenti che, per una volta poco hanno a che fare con lo sport e con il tennis in particolare; Star Spangled Banner antecede l’ingresso in campo dei protagonisti dell’odierna finale degli US Open, Novak Djokovic e Stanislas Wawrinka, rispettivamente prima e terza testa di serie del torneo maschile giunto alla 136° edizione.

Due giocatori che si incontrano per la venticinquesima volta con un bilancio nettamente a favore del serbo che conduce per 19-4, anche se prima del match tra gli addetti ai lavori circolava maggiormente la statistica che teneva conto esclusivamente degli incontri disputati a livello Slam: sei sfide totali con uno score di 4-2 sempre per Nole, nonostante tutti si ricordino la cocente sconfitta patita sulla terra del Roland Garros nel 2015, la partita che ha posto fine al sogno di Djokovic di realizzare il Grande Slam.

Oggi, però le condizioni sono estremamente differenti, sia per quanto riguarda il numero uno del mondo sia per il suo avversario; Wawrinka, infatti è reduce da una stagione negativa in cui ha raccolto tre titoli in tornei minori, mentre nei Master 1000 ha raggiunto una misera semifinale, nel torneo disertato dai più di Toronto.

Come spesso gli capita, il potente Wawrinka (ritorneremo sull’aggettivo “potente” in seguito) è un giocatore che manca della costanza di rendimento necessaria per ambire alle prime due posizioni mondiali; si spiegano, così le parecchie sconfitte nei primi turni dei tornei dove spesso viene sorpreso da giocatori mediocri che sfruttano, a suo dire, la scarsa concentrazione che ha nella fase iniziale della competizione.

Dall’altro lato, invece, abbiamo l’emblema della costanza, un giocatore che riesce sempre ad arrivare agli atti finali del torneo; un Djokovic che, però, nella seconda parte di stagione non ha avuto molte occasioni per gioire dei propri trionfi; il serbo è reduce, infatti dalla sconfitta olimpica con Del Potro e dalla prematura e imprevedibile eliminazione a Wimbledon per mano di Querrey: proprio con l’americano sembra esser finito il periodo d’oro di Nole (almeno per il 2016), autore di una prima parte di stagione semplicemente fenomenale.

Per entrambi, dunque, la finale degli US Open rappresenta una ghiotta occasione di riscatto; una finale a cui Djokovic arriva dopo aver vinto tre partite per ritiro (una addirittura per walk over contro Vesely) e con qualche (e piuttosto imprecisato) acciacco fisico.

Stan, invece sembra aver trovato la classica settimana della vita dopo esser scampato da un’ingloriosa eliminazione contro il carneade Evans al terzo turno; da lì in poi ha elevato visibilmente il proprio livello di gioco offrendo prestazioni rimarchevoli contro Del Potro e contro Nishikori.

Mentre tutti si aspettavano un Wawrinka che sin dalle battute iniziali prendesse in mano le redini del gioco conducendo lo scambio da fondocampo, è stato il numero uno del mondo a partire con il piede costantemente sull’acceleratore: la strategia di Djokovic è evidente e consiste nel togliere tempo e spazio all’avversario per orchestrare le sue manovre; Nole gioca con i piedi ben ancorati sulla linea di fondo, anticipando sin dalla risposta e costringendo il povero Stan (che per sprigionare tutta la sua energia ha bisogno di attuare grandi aperture specialmente con il rovescio) a giocare molto lontano dal campo, in un territorio dove non può di certo impensierire Djokovic: in questo modo Djoker strappa il primo break della partita e, servendosi dei numerosi errori gratuiti dell’avversario, si porta agilmente sul punteggio di 5-2 in suo favore.

Quando il primo set sembra archiviato (gli vengono anche annullati due set point sul 5-2) Djokovic smarrisce il bandolo della matassa, cede il servizio e si ritrova a dover rivincere un set già praticamente chiuso; il serbo, però è un campione assoluto e al tie break non fa sconti, dominando Wawrinka che per l’occasione è ritornato il giocatore falloso dei primi game.

7-6(1) Djokovic

La reazione dello svizzero non si fa attendere e brekka Nole a inizio secondo set, portandosi sul 3-0; ora Stan accetta lo scambio da fondo, aspetta il momento giusto per cercare il winner, non limitandosi a sporadici colpi spettacolari che pur ricevendo qualche applauso non gli permetteranno di vincere in alcun modo; inizia a variare le modalità di risposta, alterna possenti colpi al centro (fondamentali contro Djokovic che è nettamente il miglior giocatore del mondo a giocare dagli angoli) a straordinari cross stretti che mettono Nole alquanto a disagio poiché lo fanno colpire in zone del court che non frequenta con assiduità.
Nonostante ciò non si vincono dodici Slam per grazia ricevuta e il ragazzo di Belgrado si guadagna prima tre palle break non sfruttate (sarà il tema della partita) e poi una successiva che questa volta riesce a convertire portandosi sul 3-4.
Sembra chiaro agli astanti e pure a Wawrinka che Djokovic non è il cannibale cui siamo abituati e, infatti, spreca l’inseguimento operato dando un calcio al secchiello del latte appena munto come direbbero negli USA, giocando un game in battuta per lui insolito, infarcito di errori e orrori, servendo break e secondo set a un famelico e per nulla dispiaciuto Wawrinka.

Come dicevamo, la conversione di palle break sarà il tema cruciale dell’intera partita con Djokovic che ancora in avvio terzo parziale spreca malamente due opportunità per incamerarsi il servizio avversario; visibilmente frustrato da tutto ciò, Nole continua a perdere campo a favore di un Wawrinka che, al contrario, vedendo l’avversario in difficoltà acquista fiducia nei propri colpi prima traballanti e sicurezza nel proprio gioco; sempre più spesso è l’elvetico a comandare le operazioni sin dalle prime battute, giocando nei pressi della linea di base con pazienza e acume tattico, cercando di convogliare la potenza a servizio di una strategia mentale organizzata e funzionale allo scopo.

La potenza, per l’appunto, non è efficace nel tennis se viene erogata senza coscienza e conoscenza; un vecchio motto, trito e ritrito, diceva che la potenza è nulla senza controllo e anche nel nostro sport questo assunto è innegabile.

Nei game successivi del terzo set Djokovic si guadagna ancora palle break, nel terzo e nel quinto gioco; siamo di fronte a una situazione paradossale dove il miglior convertire di palle break del circuito viene tenuto da Stan a un misero 2 su 13.
Con un sussulto d’orgoglio Nole si guadagna l’ennesima possibilità di break che, finalmente riesce a ottenere issandosi sin sul 5 pari.
Quando tutto sembra far pensare al secondo tie break del match, inaspettatamente un altro, l’ennesimo passaggio a vuoto del serbo consente al numero tre del mondo di aggiudicarsi game e set per 7-5.

L’inerzia dell’incontro, il flusso emozionale, ora è tutto dalla parte di Wawrinka che vede dall’altra parte della rete un Djokovic falloso, quasi inerme da un punto di vista fisico ma anche e soprattutto mentale; la situazione sembra precipitare per Novak quando accusa un crampo alla gamba destra, richiedendo inoltre un Medical Time Out denotando problemi, forse di vesciche al piede destro.
Piove sul bagnato per lui quando Stan si porta sul 3-0 e, resistendo all’ultimo assalto di un Djokovic comunque mai domo, si appresta a servire per il match e per il terzo Slam della carriera sul 5-3.

Dopo qualche patema Stanislas Wawrinka può finalmente alzare le braccia nel cielo di New York, laureandosi in quattro set con il punteggio di 6-7(1) 6-4 7-5 6-3 campione dell’Open degli Stati Uniti edizione numero 136.

Wawrinka vince, così l’undicesima finale consecutiva cui ha partecipato, agguantando a quota tre Slam Andy Murray che, però, gli sta ancora sopra in classifica; Stan è anche il giocatore più anziano a vincere questo torneo dai tempi di Ken Rosewall nel 1970.
Alla gioia per aver vinto uno Slam (e un assegno da 3,5 mln di dollari...) fa da contraltare la pacatezza e la serenità con cui Djokovic, il campionissimo, ha riconosciuto la sconfitta: una sconfitta che non toglie nulla alla grandezza del serbo e che, siamo sicuri darà nuova linfa, nuovo vigore alla sua sete di vittoria e alla sua intenzione di guadagnarsi un posto di primissimo piano nella storia di questo sport.

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