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A poche ore dall’inizio ufficiale degli Internazionali BNL d’Italia riprendiamo i nostri approfondimenti sul movimento tennistico delle principali nazioni mondiali. Dopo la Spagna, è il turno dell’Italia, paese che ospita l’ultimo torneo pre Roland Garros. La tradizione del Bel Paese in campo tennistico è molto antica e florida: nel 1878 nasce il Bordighera Lawn Tennis Club e, da quel momento in poi, la crescita e lo sviluppo su tutto il suolo italico è stato inarrestabile.

In questi 138 anni di tennis tricolore sono passati molti campioni e campionesse, speranze e meteore, ma se ci soffermiamo agli anni 2000, come si sta muovendo la scuola italiana? Il fantastico 2015 (in gonnella), concluso con la finale Slam tra Pennetta e Vinci, è stato il culmine di un movimento sano? Oppure il colpo di starter di un futuro radioso? O ancora, è stato uno splendido canto del cigno di una generazione sul viale del tramonto?

Analizziamo la classifica e l’età dei nostri primi 15 giocatori dal 2001 a oggi.

 

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Di fatto sembra rimasto tutto pressoché invariato. Media molto simile sia di classifica che di età, cut off (ultimo giocatore della classifica) praticamente identico così come la posizione del nostro numero 1, che è purtroppo una delle note dolenti del nostro movimento. Sempre molto lontano dai vertici, con qualche picco raggiunto ma mantenuto per poco tempo.

Un aspetto da non sottovalutare nella lettura della tabella esposta è il numero totale di giocatori presenti, ben 44. Questo aspetto indicherebbe che la vita tennistica media di un nostro atleta ad alto livello è breve, sopratutto a causa di una maturazione lenta e posticipata rispetto alla media mondiale.

Ovviamente ci sono diverse eccezioni alla regola (Bolelli, Volandri, Seppi, Lorenzi), regola che sembra essere l’età avanzata del proprio best ranking (Pozzi, Sanguinetti, Bracciali, Di Mauro, Crugnola, Galvani, Lorenzi, Vanni, Arnaboldi). Provando a dare una spiegazione a questo aspetto si potrebbe pensare che sono il circuito e l’attività agonistica in giro per il mondo e per i tornei a formare veramente i nostri migliori giocatori.

Formazione che, invece, dovrebbe essere aspetto fondamentale della “carriera junior” e, più in generale, di tutta l’attività giovanile di insegnamento e di competizione. Questo non sembra avvenire. Troppe volte l’attività da Under 14-16-18 pare essere fine a se stessa, fine al risultato immediato della vittoria e non propedeutica al vero salto mortale, quello verso il professionismo.

Nelle classifiche junior abbiamo sempre atleti di punta, vantiamo qualche numero 1 mondiale (Gaudenzi, Quinzi, Pistolesi, Garrone)
e collezioniamo ben 10 titoli Slam dal 1968 ad oggi, molti di più rispetto ai titoli Slam tra i grandi. Vero che il paragone stride, ma numerose altre nazioni di vertice hanno avuto l’andamento opposto con molte più vittorie tra i pro che non tra i giovani.

Altri junior di valore si sono un po’ persi per strada soprattutto nei primi anni di circuito ATP, per poi riemergere con gli anni entrando anche tra i primi 100 al mondo, come ad esempio Fabbiano o Vanni per parlare di fatti più recenti. Non che questo sia di per sé un limite, anzi, ma ci si domanda se fosse possibile fare meglio aiutando e preparando prima questi ragazzi.

In questi ultimi 15 anni sembra comunque esserci stato un progresso: la classifica media è migliorata del 9,5% mentre l’età si è abbassata dell’1%, con 6 U25 presenti contro i 4 del 2001. Purtroppo quest’anno manca, nella nostra classifica interna, un giovane nelle primissime posizioni, un fatto che, invece, si era sempre verificato nei tre precedenti rilevamenti: nel 2001 Volandri (solo 19 anni e già 158 ATP), nel 2006 Seppi (22 anni già 54 ATP) e nel 2011 Fognini (23 anni 53 ATP). Nel 2016 troviamo Cecchinato al 99 (ora oltre la centesima posizione) con 23 anni; a pari età, oltre 45 posizioni peggio del Fognini del 2011.

Non dimentichiamo comunque che ci sono diversi ragazzi in rampa di lancio che si assestano tra il n°200 e il 400 ATP, alcuni dei quali molto giovani e di belle speranze. Citiamo Donati, Napolitano, Pellegrino (l’unico per altro che si allena nel centro FIT di Tirrenia), Sonego, Mager; ci auguriamo che soffrano meno l’impatto con il mondo dei grandi e possano inserirsi almeno nei top 100 il prima possibile.

Provando a scavare ancora un po’, tra i giovanissimi non ancora ventenni dobbiamo scivolare fino alla posizione 988 per trovare Andrea Guerrieri classe 1998. Ognuno ha il suo percorso, la sua storia e fare paragoni tra ragazzi molto giovani è difficoltoso, ma Tiafoe, Kozlov e Lee sono già attorno alla posizione 200, Mmoh è 336 e Tsitsipas 437. Di strada da fare ce n’è ancora parecchia.

Voltiamo ora pagina sul settore femminile. In questo secolo il tennis azzurro in gonnella aveva nascosto i limiti di un movimento incapace di produrre con continuità un prodotto medio alto. Le vittorie in Fed Cup, la vittoria parigina della Schiavone e le due finali di Schiavone ed Errani, le top ten di Schiavone, Vinci, Errani e Pennetta sono stati un gustoso antipasto della storica finale degli US Open 2015.

Ma dietro i risultati eccezionali c’era anche la “fuga di cervelli” all’estero, precisamente in Spagna, e un ricambio generazionale che si fatica ad intravedere. Per analizzare obiettivamente il percorso Italia femminile abbiamo rilevato classifica ed età delle prime 10 giocatrici italiane (non 15 perché il movimento femminile è numericamente inferiore rispetto al maschile) sempre nel 2001, 2006, 2011 e 2016. Ecco i dati.

 

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I grafici sono impietosi, il futuro del tennis italiano del gentil sesso si sta spegnendo di anno in anno. I primi segnali erano visibili già nel 2011; vero che, mai come in quell’anno, la classifica delle nostre è stata ottima, ma l’età media si era sensibilmente alzata nonostante la presenza di due diciannovenni in classifica.

Nel miglior periodo di sempre, del nostro tennis rosa (2000-2015), purtroppo non si è riusciti a sfruttare il volano dei risultati per lavorare sulla base e per incrementare la qualità delle giovani promesse. Nei prossimi anni (ahi-noi) Vinci e Schiavone appenderanno la racchetta al chiodo, Knapp ed Errani sfonderanno il muro dei trent’anni e a quel punto chi darà il cambio?

La Giorgi (se di prodotto di scuola italiana si può parlare) è alle prese con la più classica delle discontinuità, Caregaro e Ferrando sono ben oltre la posizione 250. A pari età le nostre paladine degli anni 2000 sfioravano già le top 50. Jessica Pieri, classe 1997, allenata come la sorella Tatiana dal papà, sembra essere la nostra ragazza più promettente, ma al momento si trova alla posizione 397. 

Concludendo, forse l’avvocato Galgani (ex presidente FIT) aveva ragione quando diceva che non è colpa dell’Italia se la cicogna non ci porta i campioni, ma bisognerebbe forse far di tutto per aiutare la cicogna a fermarsi da noi, creando un ambiente che favorisca il reclutamento del talento per poi svilupparlo verso gli orizzonti del tennis professionistico.

Inoltre, se anche il talento non dovesse arrivare, si dovrebbe comunque creare un movimento che produca “in casa” con continuità dei buoni prodotti medi, sia in campo maschile che femminile. Per fare un esempio, la Francia non ha top 5 da parecchio tempo ma ha sempre una decina di giocatori nei primi 100 e almeno 4-5 nei primi 30. Il fenomeno forse non c’è, ma la scuola funziona.

Malgrado la grande attività di formazione degli insegnanti da parte della nostra federazione e i centri tecnici che fanno riferimento a Tirrenia emerge il dilemma del perchè manchino risultati in termini di ricambio. In previsione di 5 anni non brillanti (per usare un eufemismo) in campo femminile e discreti in campo maschile, la FIT sembra aver trovato un nuovo modo per formare giocatori: comprarli. Il giovane italo-argentino Francisco Bahamonde è il primo. Ne arriveranno altri?

 

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