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Nel tennis, sport di grande complessità, vi sono giocatori, a qualsiasi livello, in grado di sorprendere con risultati apparentemente al di sopra delle loro (presunte) capacità e, ancora più frequentemente, altri deludenti in termini di risultati.

Molto spesso le ragioni sono da ricercare nel “movimento invisibile”, ovvero il reperimento di informazioni sensoriali e relativa elaborazione, necessarie alla prestazione sportiva, particolarmente in ambito tattico, magistralmente definito da Carmelo Pittera. Altre volte le cause sono da ricercare in quelle che qui definiamo scherzosamente, parafrasando Pittera, “movimenti ipovedenti”, ossia quelle azioni poco rispettose dei principi del gioco, ovvero della strategia.

Le capacità alla base delle competenze tattiche sono di assoluta rilevanza, tanto da pregiudicare il raggiungimento di livelli di vertice, mentre non di rado grandi capacità esecutive e organico-muscolari sono associate a incompetenza strategica anche tra top player (Monfils, Fognini, Giorgi, potrebbero rappresentare alcuni esempi).

Ma per spiegare il fenomeno di “grandissimi talenti” inespressi, la spiegazione più diffusa è la “testa”, fattore particolarmente in auge nelle categorie giovanili. Ma cosa si intende comunemente con “testa”? Potremmo definirlo termine generico utile a spiegare la contraddizione delle proprie convinzioni e aspettative agonistiche (“proprie” è da intendersi molto spesso riferite a “propri” figli o allievi) in rapporto ai risultati del campo. Nella maggior parte delle volte potrebbe essere tradotto con abilità mentali, altre volte con lacune strategiche o limiti tattici.

La tendenza ancora molto diffusa a considerare con maggior enfasi gli aspetti “visibili” della prestazione e del potenziale di un atleta vale ad inficiare le capacità di analisi degli osservatori, siano essi tecnici o semplici spettatori. Azzardiamo ipotizzare che alcune volte (raramente, in verità) le ragioni di tale approssimazione non sono da ricercare in limiti culturali ma nel tentativo di conferire ai propri protetti il fascino epico del grande perdente, baciato dal talento ma non in grado di esprimerlo per l’avversità di dei beffardi. In tal modo, tra l’altro, si occulta la formazione e il lavoro lacunoso dei tecnici. Ma sappiamo come la conoscenza abbia relegato l’intervento degli dei a mera mitologia.

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