La canzone a cui allude il titolo è “Un mondo d’amore”, e nel tennis l’amore per l’erba ha molteplici radici. Alcune sono lontane, molto lontane come il torneo più antico, quello di Wimbledon. L’All England Lawn Tennis and Croquet Club organizzò infatti a Wimbledon, sobborgo di Londra, i primi Championships a cui parteciparono 22 giocatori. Le cronache registrano che vinse Spencer Gore e che ad assistere alla finale vi furono circa duecento spettatori paganti. Siamo nel 1877 e questo significa, molto semplicemente, che la storia del terzo torneo del grande Slam in ordine di calendario si intreccia tout court con la storia del tennis moderno.
Wimbledon e gli inglesi sanno che cosa è una tradizione e sanno come valorizzarla. Per cui quel torneo ha sempre avuto una enorme copertura mediatica e, a partire dagli anni settanta, con Newcombe, Connors, Ashe e la grande epopea di Bjorn Borg, pure la televisione ha iniziato a diffondere nel mondo intero i gesti bianchi in fondo verde. Forse è per questo che vincerlo è sempre stato considerato da tutti, giocatori in primis, il sogno più grande.
La lista dei vincitori di Wimbledon comprende, tra i più frequenti: inglesi, australiani, neozelandesi, americani, francesi, svedesi, tedeschi, spagnoli, svizzeri (un solo svizzero a dire il vero, che però ne ha vinti sette ed è arrivato in finale dieci volte) e serbi (anche qui un solo serbo che ne ha vinti, per ora, tre). Insomma, siamo al cospetto di un torneo che ha il mondo intero come terreno di gioco, e che non ha mai cambiato la superficie, a differenza degli US Open e degli Australian Open. Wimbledon fa della tradizione un punto di forza per rendersi sempre più esclusivo. I Championships sono la Ferrari del tennis perché, come la velocissima vettura italiana, sono un oggetto di lusso. E come tutti gli oggetti davvero lussuosi anche lo Slam londinese è in grado di produrre una grande attrazione, da consumarsi con raffinato piacere.
Un’altra ragione per cui la stagione tennistica sull’erba è affascinante risiede nel fatto che essa è breve e molto intensa. Il tempo di pulirsi le scarpe bruttate dalla terra rossa del Roland Garros e il circuito ATP si sposta a partire dal 6 giugno a Stoccarda in Germania, Den Bosch in Olanda, Halle di nuovo in Germania, Queen a Londra, e poi Nottingham, Wimbledon e, per concludere, Newport negli Stati Uniti con la finale del torneo fissata per il 17 luglio. Uno Slam, due 500 e quattro 250; un tourbillon di sette tornei da far girare la testa. Una indigestione di erbette che costringe i giocatori a modificare il loro tennis adattandolo alle regole di una superficie che, peraltro, troveranno solamente in questo periodo dell’anno.
La terza ragione per amare il tennis sull’erba è, infine, tecnica e risiede nel particolare tipo di rimbalzo che l’erba produce. E’ vero, a partire dal 2001 la composizione è cambiata e l’erba ora è più lenta, il che vuole dire che la perdita di energia della palla dopo aver toccato terra è maggiore e che i rimbalzi sono più alti. Questo si traduce in un controllo più agevole, perché sovente la palla giunge all’altezza giusta, vale a dire quella delle anche e il piccolo bolide sferico si propone alla coordinazione psicofisica del tennista ad una velocità un poco più bassa e umana.
Ciononostante, l’erba resta una superficie più veloce di altre e per certi versi infida e irregolare. Più di un campione è stato sentito urlare dopo un rimbalzo fasullo. La frustrazione si è spesso trasformata in offese al sacro tempio del tennis, definito più di una volta “campo di patate”. Eppure è proprio questa irregolarità, unita alla velocità, che spinge i giocatori a rete e che obbliga a movimenti diversi, a traiettorie strette, a slices che scivolano via come fette di prosciutto tagliate da una Berkel. Lo spettatore e il curioso vengono affascinati da un tennis che, sull’erba, si propone diverso. Già, ma diverso come? Essenzialmente con il tennis sull’erba si ha meno tempo per colpire e per preparare i colpi. Conseguentemente bisogna accorciare sia il campo sia gli scambi.
Accorciare il campo vuol dire che è meglio non dislocarsi mai oltre la linea di fondo, altrimenti le palle schizzano via irraggiungibili. Solamente Nadal è riuscito a domare le traiettorie impazzite dell’erba pur restando ben oltre la linea di fondo. Ma lo spagnolo, quando ci è riuscito, aveva gambe veloci e potenti e la capacità di trasformare ogni colpo difensivo in offensivo, insieme a una resistenza non comune che lo portava a reggere tranquillamente anche i più lunghi e frenetici palleggi. Comunque, se non si è nati a Manacor è meglio accorciare gli scambi, perché il rimbalzo fasullo è sempre in agguato e se si vuole evitare la traiettoria balorda è meglio chiudere in fretta cercando quei colpi vincenti che l’erba esalta: servizio, volè, slice. Il tutto si traduce di solito in un’alta spettacolarità di gioco che, non ce ne vogliano gli affezionati del clay, non si riscontra sulla terra rossa la quale predilige, invece, una più lenta costruzione del gioco e delle strategie.
Insomma, l’erba pare proprio essere l’università del tennis se non altro per il fatto che mette a dura prova riflessi, coordinazione e velocità. I migliori interpreti di questa superfice devono essere veloci, e reattivi come un giaguaro. Se poi sono anche dotati di potenza questo non guasta ma, attenzione, la potenza non deve andare a detrimento della velocità. Boris Becker era potente ma anche molto veloce, e con i riflessi di un felino, per cui ha vinto Wimbledon a 17 anni. Sui prati si mostrano le stimmate del futuro campione, di colui cioè che possiede quelle innate doti psicofisiche senza le quali è difficilissimo vincere un torneo sull’erba. A partire dall’erba, poi, si può sempre costruire un tennis che renda bene anche sulle altre superfici, più lente. Come dire: if I can make it there, I’ll make it anywhere. Se riesci a Wimbledon allora puoi riuscirci dappertutto, anche se poi bisogna immediatamente aggiungere che l’affermazione non è sempre stata vera, come spiega bene la carriera di Pete Sampras che Wimbledon l’ha vinto sette volte e il Roland Garros nessuna.