ILTENNIS.COM

Riassorbita la sbornia tennistico-mediatica di quest’inizio di stagione diviso tra Oceania e Stati Uniti – tre mesi che già sono stati inseriti di diritto tra le pagine più memorabili della storia del Gioco grazie all’impresa di Roger Federer, capace di realizzare la tripletta Australian Open, Indian Wells e Miami ( la settima nella storia del tennis) a 35 anni – il circuito ATP ritrova la vecchia Europa, andando ad insediarsi per qualche giorno in Costa Azzurra, la storica patria dei Gesti Bianchi, del tennis rigorosamente praticato sui campi in terra battuta. A Monte-Carlo, quella che andrà in scena dal 15 al 23 aprile sarà l’edizione numero 111 di un torneo che rappresenta un Gronchi rosa tra i Master 1000 del circuito ATP; dal 2009, infatti, la competizione monegasca non ha più l’etichetta di mandatory player commitment: ciò significa che i migliori 30 giocatori del ranking possono decidere se partecipare al torneo oppure no, senza rischiare di ricevere sanzioni dall’ ATP (cosa che non avviene negli altri Master 1000, a meno che venga fornito un referto medico che riconosca l’impossibilità del giocatore a partecipare all’evento). Grazie, o per colpa, di questa clausola – decisamente irrispettosa nei confronti del secondo torneo più longevo tra quelli compresi nel calendario ATP dopo Wimbledon – l’edizione che ci apprestiamo a seguire del Rolex Monte-Carlo Masters non vedrà ai nastri di partenza, tra gli altri: Federer, Raonic, Kirgios, Monfils, Gasquet, Del Potro; inoltre, come loro – pessima – abitudine, anche quest’anno il Country Club sarà privo dei migliori giocatori americani, con il solo Ryan Harrison – seguito per altro da Sanguinetti – che proverà a tenere alto l’onore del tennis a stelle e strisce nel tabellone principale. A latere della stretta attualità, comunque, la storica, scarsa propensione degli statunitensi a giocare sui campi di Monte-Carlo, e più in generale sui terreni in rosso si riverbera e si nota anche nella nuova generazione dei giocatori, e non solo di quelli oltreoceano. Già in un articolo recente avevamo nutrito dubbi riguardo la programmazione dei giovani rampolli del tennis mondiale, i quali non solo prediligono superfici dure ma, addirittura, dedicano esclusivamente la propria attività a tornei con tali caratteristiche geomorfologiche. 

Fatta tale premessa, è bene, tuttavia, non dilungarsi a parlare degli assenti, dal momento che, anche con qualche defezione in più rispetto al solito, il Master 1000 di Monte-Carlo rappresenta tradizionalmente il primo, vero, banco di prova nell’approcciarsi alla stagione sul rosso; la Costa Azzurra è, infatti, la prima tappa del cosiddetto Slam rosso, una vecchia definizione che prendeva in considerazione i tre tornei principali che si disputano sulla terra battuta europea nei mesi primaverili: Montecarlo, Roma e Parigi (con l’intromissione negli anni di altri tornei quali Amburgo o Madrid). Benché tutt’ora affascinante, l’appellativo Slam rosso sembra essere un vezzo esclusivo di giornalisti e appassionati visto il progressivo declassamento del torneo del Principato ad un rango inferiore e, al contempo, un’ascesa, promossa per lo più dai vertici ATP, di un torneo sui generis e tutt’altro che tradizionale come quello di Madrid. Pur declassato, pur con numerose defezioni ma sempre con il solito e solido punto fisso: Rafa Nadal, the king of clay. Per il maiorchino, Monte-Carlo rappresenta dal 2005 il punto di partenza nella rincorsa della stagione sulla terra battuta che culminerà con il Roland Garros in giugno; i suoi numeri nel torneo monegasco fanno impallidire: 9 vittorie su 12 partecipazioni dal 2005 in poi, 8 vittorie consecutive dal 2005 al 2012 inanellando 42 partite vinte consecutivamente nel medesimo torneo, un record precedentemente detenuto da Borg a Wimbledon con 41. E questa è solamente la punta dell’iceberg. Più di ogni altro torneo del circuito, infatti, Monte-Carlo è stato per anni il vero feudo di Rafa: al Country Club Nadal è stato, nei migliori anni della propria carriera, imbattibile per diverse motivazioni sia tecnico-strategiche che contestuali. Il suo promettente, e per certi versi inaspettato, inizio di stagione ha portato molti tra gli addetti ai lavori a credere ad un più che probabile trionfo anche in terra e sulla terra d’oltralpe, in quella che si delineerebbe come la vittoria numero dieci, la decima come ormai mediaticamente viene riconosciuta.

Le incognite del torneo sono però tutte personificate non tanto da Nadal quanto piuttosto dagli avversari dello spagnolo, in particolare dai primi due giocatori del ranking: Andy Murray e Novak Djokovic. Spesso nello sport la parola crisi non solo viene abusata ma, il più delle volte viene utilizzata a sproposito; questo non è il caso di Nole e Murray dove il termine crisi esemplifica nel migliore dei modi il loro periodo buio, anche se i motivi paiono – ma da molto lontano possiamo solamente proporre congetture più o meno illazionabili, se mi si permette il neologismo – alquanto diversi. Senza sconfinare nel campo della logica da bar i freddi numeri ci danno un quadro d’insieme che riflette il momento delicato, diciamo così, dei due giocatori. Lo scozzese, debilitato anche da un problema al gomito, nel 2017 non ha vinto alcun torneo, perdendo prematuramente nei principali tornei cui ha partecipato, l’Open d’Australia ed il 1000 di Indian Wells e dando addirittura forfait a Miami. Dal canto suo, il solo trionfo ad inizio anno di Doha, non può che lasciar soddisfatto il serbo; la debacle di Melbourne non è certamente casuale e, difatti, è stata bissata suo malgrado anche nei tornei successivi: pensare che non meno di 12 mesi fa Nole era padrone inarrestabile del circuito, numero uno del mondo e vincitore, proprio come Federer quest’anno, della tripletta sul cemento di inizio stagione tra Australia e USA. Entrambi ritornano alle gare in Costa Azzurra dopo aver saltato il torneo di Miami, sperando che con l’avvio stagione sulla terra possano anche loro trovare il conforto il gioco perduto, fermo restando che il rosso non è decisamente la loro superficie preferita.

Anche il sorteggio sembra essersi messo contro Djokovic; sin dall’esordio dovrà vedersela con giocatori ostici quali Simon e uno tra Carreno Busta e Fognini al possibile turno successivo. Au contrair, per Murray la strada non dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, essere lastricata da difficoltà sino ad un ottavo contro Cilic o, più probabilmente, Berdich. Parte alta del tabellone farcita di giocatori francesi come Chardy, Paire, Tsonga e Pouille; proprio quest’ultimo sembra essersi smarrito negli ultimi tempi; il gioco brillante offerto nel 2016 pare sbiadito e la grande solidità, anche mentale, che lo aveva proiettato vicino alla top ten sembra sul punto di vacillare: si spera che anche per lui lo sbarco sul rosso sia foriero di nuove motivazioni e stimoli. Il vero favorito di questa porzione di tabellone – che comprende anche Lorenzi impegnato in un primo turno abbordabile con Granollers prima di un’interessante confronto proprio col sopracitato Pouille – è però Stan Wawrinka che, come d’abitudine, tende a ritrovarsi negli appuntamenti clou della stagione dopo gli alti e bassi del cemento americano.

Ad una parte alta indubitabilmente sguarnita da nomi di spicco oltre a quelli citati fa da contraltare una parte bassa che vede tra gli altri - oltre all’amletico Djokovic di cui già si è abbondantemente parlato - Nadal, Thiem, Dimitrov, Zverev e Goffin, oltre agli italiani Fognini e Seppi (l’altoatesino nel main draw grazie alla wild card). Il ligure Fognini ritrova l’amata terra battuta dopo il recente exploit sul cemento di Miami; pur al ritorno da un leggero infortunio che non gli ha permesso di dare alcun apporto alla causa italiana nella preannunciata sconfitta in terra belga nel weekend di Davis, Fognini è atteso ad un grande torneo, Monte-Carlo, dove già ha raggiunto la semifinale nel 2013: ripercorrere il medesimo percorso di quell’anno sarà ostico per Fabio visti i probabili avversai che dovrà affrontare nel proprio cammino; già dal primo turno sarà opposto al terraiolo Carreno Busta, giocatore coriaceo come si diceva un tempo e reduce dallo splendido e inaspettato torneo di Indian Wells, prima di un’interessante sfida con Djokovic, contro cui, almeno nelle condizioni attuali, non parte già battuto. Gli altri ottavi di finale nella porzione inferiore del tabellone dovrebbero offrire incontri di tutto rispetto a partire dal match Zverev-Nadal sino a Dimitrov-Bautista passando per Goffin-Thiem, forse l’ottavo dall’esito maggiormente incerto. Insomma, una parte bassa davvero agguerrita e ricca di giocatori che avanzano velleità di semifinale, pur tenendo conto che tutti, prima o dopo, dovranno fare i conti l’oste del Principato, Rafa Nadal.

Ultima postilla la merita la wild card norvegese Casper Ruud, nato nel dicembre del 1998 e già numero 130 del mondo. Ruud, di cui avevamo positivamente parlato già in altri articoli, è un giocatore della cosiddetta Next Gen abbastanza atipico: è l’unico terraiolo puro tra i giovani, ha grande intelligenza tattica e, a dispetto della giovane età, pare estremamente solido in molti aspetti del gioco, dentro e fuori dal campo. La vetrina di un Master 1000 così importante come quella rappresentata dal torneo del Principato di certo contribuirà nella crescita tennistica e professionale del diciottenne norvegese e, ne siamo abbastanza certi, questo è solamente l’inizio per lui.

Usiamo i cookie per raccogliere statistiche anonime sull'utilizzo del sito