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L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, la NextGen si sta preparando è questa la novità; direbbe il mitico Lucio Dalla. Infatti, la nuova generazione è chiamata al compito di sostituire la vecchia guardia. Niente di strano, nulla di trascendentale, un processo che puntualmente nella storia ha avuto il suo naturale decorso e non solo nello sport del tennis.
I campioni da sostituire lasceranno un vuoto incolmabile?


Malgrado le leggende di Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic, stelle della racchetta dai primati memorabili, la storia del gioco suggerisce di no. Il vuoto sarà colmato. Del resto, nel passato sono stati rimpiazzati titani del calibro di Lawrence Doherty, Anthony Wilding, Bill Tilden, Henry Cochet, Fred Perry, Donald Budge, Jack Kramer, Pancho Gonzales, Ken Rosewall, Rod Laver, Jimmy Connors, Bjorn Borg, John McEnroe, Ivan Lendl, Andrè Agassi, Pete Sampras, per citare quelli con i maggiori record. Detentori di primati ancora imbattuti sostituiti lungo la via magnificamente. Mi chiedo per quale ragione anche questa volta non debba capitare quanto è sempre accaduto nella tradizione. Un momento, forse la parola che può fornire una risposta è proprio questa: la tradizione.
Il tennis come altri giochi sportivi fu inventato nel diciannovesimo secolo ed ha conosciuto fama e successo nel ventesimo. Mi auguro con tutto il cuore che nel ventunesimo non venga trasfigurato in show business per intraprendere scorciatoie commerciali, visto che sul piano degli incassi quando il marchio è d’autore come quello di Wimbledon le soddisfazioni di moneta sono garantite. Ovviamente nel caso di un brand d’autore non servono inganni, ma veri esperti al lavoro con idee e competenze, per sviluppare un prodotto autentico perché eleganza e qualità non hanno bisogno di rumore.

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Vero è che ai nostri giorni spopolano una marea di marchi un tempo autentici, ma oggi ridotti a meri falsi d’autore. Prodotti indecenti, spacciati dai furboni al comando di molte iniziative di marketing come sorgenti di bellezza e di sapere. Una bufala totale che va a colpire le menti sprovviste di pensiero per regalare loro un’identità. Che si tratti di nuova frontiera della filantropia? Chissà! Forse qualcuno tra i furboni prima o poi avrà l’ardire di affermarlo. Dopotutto non c’è mai limite al peggio, solo alla conoscenza.
Dunque il mondo si evolve, almeno così si dice. Così il tennis ha subito trasformazioni importanti, alcune di queste di grande impatto, come il cambiamento dei materiali che hanno reso il gioco sempre più potente. Malgrado ciò l’anima del gioco non è stata mai stravolta, riuscendo a mescolare sapientemente tradizione e innovazione. Di fatto, i modi attraverso i quali è possibile ottenere il punto sono sempre tre: giocata vincente, errore procurato e gratuito. Certo le modalità per conquistare il “quindici” sono cambiate in superficie, ma se si osserva in profondità le percentuali di una partita di qualità risultano sempre ripartite in parti uguali nelle tre modalità. Solo nel raro caso in cui i vincenti superano il quaranta per cento dei punti giocati, si assiste ad un incontro eccezionale, un dato che si manifesta oggi come un tempo.
Attualmente la NextGen è stata vista in azione al torneo di Milano dove si sono esibiti i migliori del mondo, con vittoria del ventunenne coreano Chung sul russo Rublev. L’eccezione è stata costituita dall’assenza del tedesco Alexander Zverev impegnato nelle ATP Finals di Londra tra i grandi della racchetta. Nella capitale inglese il tedesco ha perso, a mio parere, un’occasione clamorosa per firmare l’evento, vista la dipartita di Nadal e di Federer. Vero è che Alexander ha molto tempo per rifarsi, ma ancor più vero è il fatto che alla sua età molti campioni avevano già vinto tornei dello Slam, quando lui non è ancora stato in grado di giocare neanche una semifinale. Senza andare lontano nel tempo, restando nel tennis dei materiali moderni, si possono citare le vittorie parigine dei teenager Wilander, Chang, Nadal e quella londinese di Boris Becker.

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Se invece alziamo l’asticella agli under ventuno, come nel caso della kermesse milanese di Rho, si registrano le imprese di Edberg, Korda, Djokovic agli Australian Open, di Courier e Kuerten al Roland Garros, di Sampras, Safin, Hewitt, Roddick, Del Potro agli US Open. Campioni che hanno segnato il loro primo trionfo Slam fin da giovanissimi nell’arco di tempo che va dal Roland Garros di Wilander del 1982 agli US Open di Del Potro del 2009. Nella sintesi, in ventotto anni si sono visti quattordici giovani campioni, una media di uno ogni due anni. Fa pensare come dal 2009 ad oggi siano passati otto anni senza l’ombra di un under ventuno vincitore di un torneo dello Slam. Forse è un fatto che non ha precedenti nella storia del gioco, almeno da quando il tennis è diventato a grande diffusione internazionale nel secolo scorso.
Incredibilmente, rimane fuori dal cerchio magico il mitico Roger Federer che ha raggiunto la maturità più tardi, per l’esattezza a qualche mese dalle ventidue primavere col primo successo di Wimbledon 2003. A tutti gli effetti una differenza minima rispetto agli altri fenomeni. Tuttavia, alcuni esperti dicono che nel tennis odierno anche i campioni maturano tardivamente. Un fatto dovuto al cannibalismo di Federer, Nadal e Djokovic. Eppure la classe di Del Potro non ha sentito scuse quando nel 2009, all’età di vent’anni, ha superato King Roger in finale a New York.

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Possibilmente, si potrebbe pensare che Chung, Rublev & Co siano dei Federer mascherati. Un improbabile mistero che il futuro potrebbe rivelare nel suo magico splendore. Per fortuna l’anno in arrivo chiarirà ogni dubbio. Infine, senza farsi ingannare dagli slogan dell’immancabile sottofondo del marketing che oramai bombarda le giornate di tutti noi, nutro il sospetto che il verdetto di questa vicenda rimandi verso la scoperta di nuovi futuri talenti con l’unica attenuante a carico del canadese Shapovalov rimandato a giudizio.

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