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Dalla west coast più estrema al suo opposto, dalla California alla Florida, da Indian Wells a Miami. Dovrei tentare l’impresa di rinchiudere lo spirito dei grandi di questo sport e dei luoghi dove hanno vissuto in qualche minuta decina di righe. Se la frontiera sul Pacifico, tra Hollywood e il Golden Gate, l’ho trovata in Donald Budge, quella atlantica, tra Tampa e Miami, mi ha presentato una scelta obbligata. Mi ha portato non solo sull’altra costa d’America, ma sull’altra metà del cielo.

Quando si parla della donna, della leggenda in questione, la parola da tenere bene a mente è senza alcun dubbio “conseguenza”. La misura del campione, o della campionessa, non dipende solo dai trofei e dai record, ma dalle conseguenze. La magnitudo dell’onda con cui si è scosso e rivoluzionato l’ambiente in cui si è piombati.

Nella storia del tennis di scosse forti come Chris Evert ce ne sono state poche. E nel suo caso si potrebbe parlare di una scossa terribilmente silenziosa, ordinata ed elegante. Di una rivoluzione combattuta senza un capello fuori posto, senza un gesto sopra le righe, senza nessun atteggiamento tanto estremo da non poter figurare anche ad una prima comunione. L’ha fatta la rivoluzione Chrissie, anche se nei panni della rivoluzionaria tendiamo a vederci sempre qualcun’altra. Una Billie Jean King, una Navratilova.

Nonostante tutto Chris è stata l’epicentro del terremoto e l’occhio del ciclone.

Lontana dai capricci e dai leggendari, romanzeschi eccessi delle dive alla Lenglen e ancora più lontana dai maschiacci alla BJK o alla Navratilova, ha creato un nuovo modello di campionessa. Non servono un taglio da maschiaccio e un servizio da uomo per vincere gli Slam, ma neanche le gonne di pizzo e le bottigliette di brandy. Serve la testa. E la testa di Chris, sotto i capelli biondi, è più solida di qualunque altra. È ciò che le consente di ragionare come nessuna e di non farsi demolire da niente.

A partire già da Tracy Austin, il modello Evert diventa il più imitato in tutto il tennis femminile dagli anni ‘80 in poi. Non un’unghia fuori posto, maschera incrollabile davanti ad ogni tipo di emozione, rovescio a due mani. Il colpo che Bud Collins battezzò il “ChrissieCraze” nella sua singolarità, ora è giocato da 9 su 10 delle tenniste di vertice. Chris ha creato ciò che negli USA chiamerebbero “legacy”. La leggenda, l’esempio da seguire, la traccia checontinua a inseguire gli anni, incurante del tempo e del resto che intorno continua a cambiare.

Anche in questo, il confronto con la Navratilova non può mancare. Quando si parla di Chris, si deve parlare anche di Martina. È impossibile non farlo, e non solo perché le due sono state protagoniste della rivalità con più episodi nella storia dello sport (80 incontri), ma perché sonole due personalità opposte della stessa leggenda. Chris senza Martina non sarebbe diventata la Evert, Martina senza Chris non sarebbe diventata la Navratilova. Ognuna è la chiave di lettura senza cui le scelte, le vittorie e le sconfitte dell’altra non si possono comprendere.

Detto questo però, ritornando al tema precedente, com’è possibile che la meno talentuosa delle due, la prima della classe, quella senza trascorsi rocamboleschi ed a tratti eroici, la ragazza della porta accanto, abbia portato a termine una rivoluzione?

Semplice. Il modello Navratilova non è mai esistito e non esisterà mai, come non esisterà mai un modello McEnroe. Non possono esistere. Le stoccate sottorete di entrambi non si possono imitare, i loro servizi, il loro essere geniali ed emotivamente così fragili. Martina è stata Martina, Mac è stato Mac. Fine della storia, possiamo solo rimanere seduti, magari sobbalzare sulla sedia e guardare a bocca aperta.

Per quanto riguarda Chris, invece, come anche Borg, la calma glaciale, il silenzio ed i passanti bimani hanno lanciato un’eco più profonda delle volée di Mac e Martina perché, meglio o peggio, potevano essere imitati. Perché avevano fatto capire che si poteva vincere (e tantissimo) anche senza il braccio di un semidio, a condizione di essere atleticamente, ma soprattutto mentalmente forti.
Praticamente il tennis moderno.

 

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