Dalla fine dell'era delle racchette di legno al nuovo millenio
Dal tramonto delle racchette di legno all’avvento dei materiali in carbonio e in grafite, il tennis registrò il ritiro dalle competizioni di Bjorn Borg all’inizio del 1982. Il campione svedese lasciò il circuito improvvisamente ancora all’apice della carriera, dopo aver strapazzato nelle finali ATP a New York nel 1981 l’astro nascente Ivan Lendl, un giovane ventunenne proveniente da Praga come il grande Jaroslav Drobny campione di Wimbledon nel 1954.
A questo punto la strada pareva spianata per John McEnroe, mattatore in quel periodo di Coppa Davis insieme al suo effervescente amico Vitas Gerulaitis. Le attese di questa vigilia per McEnroe furono invece disattese. Egli venne sottomesso nel 1982 da Jimmy Connors a Wimbledon. Inoltre il vecchio Jimmy mortificò in settembre anche le velleità di Ivan Lendl agli US Open. Malgrado ciò l’anno successivo l’irascibile John si riprese lo scettro ai Championship e la leadership mondiale.
Nel contempo a Parigi si metteva in luce il teenager svedese Mats Wilander considerato, forse superficialmente, l’erede di Borg perché mago di resistenza psicofisica e di regolarità. In verità Mats era più una sorta di evoluzione moderna del francese Renè Lacoste. “Non sono Borg due, ma Wilander uno” ripeteva il giovane Mats.
Dopo Wilander il Roland Garros vide il trionfo dell’idolo di casa, il francese di origine senegalese Yannick Noah. Egli è stato una scoperta di Arthur Ashe, una sorpresa che fece rivivere ai francesi i gloriosi giorni dei moschettieri Henry Cochet, Renè Lacoste e Jean Borotrà.
Sempre a Parigi, l’anno successivo, si consumò la tragedia di John McEnroe, primo americano dai tempi di Tony Trabert (1955) a poter salire sul trono di Francia. John si trovò avanti per due set a zero su Ivan Lendl in una partita senza storia che poi terminò col perdere 7 a 5 al quinto. Malgrado ciò McEnroe dominò comunque la stagione del 1984, cedendo solo in due incontri.
Il bizzoso Mac che litigava pure col “ciclope”, un aggeggio elettronico primordiale che segnalava col fischio gli out sul servizio, è stato un campione che si è ribellato all’incalzare di un tennis muscolare. Egli ha esibito uno stile fatto di genio che pareva fuori dal suo tempo e stravinceva anche in doppio con l’amico Peter Fleming. John McEnroe è stato l’ultimo grande numero uno a giocare con continuità la Davis e nei tornei di doppio. Dopo di lui la specialità conoscerà un lento declino che non avrà più fine.
Il dopo McEnroe vide il bombardiere ceco Ivan Lendl monarca assoluto del gioco, primo a conquistare l’insalatiera per il suo paese. Il terribile Ivan è stato, a suo modo, il successore di Connors e di Borg, padri di un tennis fisico basato sulla violenza dei colpi di rimbalzo. Ivan Lendl ha inseguito a lungo il titolo a Wimbledon, l’unico riuscito a sfuggirgli. Ciononostante i suoi record lo inseriscono direttamente nel gotha del tennis di ogni tempo.
Nel 1988 Mats Wilander firmava tre quarti del Grande Slam mancando l’appuntamento di Wimbledon, prima di crollare nella stagione successiva come il muro di Berlino. La sua avventura era iniziata quell’anno in Australia nel nuovo stadio di Flinders Park, oggi Melbourne Park, dove erano traslocati gli open australiani dal vecchio impianto del Kooyong. Anche in Australia come negli open americani la classica superficie in erba lasciò il posto al cemento. Da quell’attimo le uniche prove dello Slam rimaste fedeli alla tradizione erano Wimbledon con i suoi mitici prati e il Roland Garros con la terra battuta.
Ebbene, chi nella tradizione e a Wimbledon ha avuto miglior sorte rispetto a “Ivan il terribile” è stato certamente il tedesco Boris Becker che è riuscito a conquistare il suo primo titolo sull’erba londinese non ancora diciottenne, battendo il record di Wilfred Baddeley che resisteva dal 1891. Il panzer teutonico dal tennis esplosivo alla Lew Hoad, è stato il primo a vincere la Davis per la Germania nel 1988, superando sul piano del gioco il mito del raffinato connazionale barone Gottfried von Craam.
Primo antagonista di Boris Becker a Wimbledon è stato lo svedese Stefan Edberg, campione dal serve and volley atletico ed elegante. Alla fine degli anni ottanta questi splendidi campioni hanno regalato agli appassionati una finale di Wimbledon interminabile, una rappresentazione articolata in tre atti. Dal 1988 al 1990 Becker ed Edberg si sfidarono ripetutamente per il titolo, facendo rivivere il magnifico duello del tennis di spada e di fioretto, rispolverando a modo loro la tradizione dell’età classica del gioco.
In seguito a quel periodo si mostrò in tutta la sua potenza il tennis del picchiatore americano Jim Courier. Primo yankee dagli anni cinquanta a vincere finalmente al Roland Garros. Eppure il simpatico Jim non costituiva la vera sorpresa di quel momento che si rivelò poco più tardi in tutto il suo magnifico splendore.
Infatti il tennis stava per vivere una delle rivalità più emozionanti dell’era open, quella tra altri due americani. Questi attori erano nell’ordine Andrè Agassi che pareva un Connors sincopato tanto da meritare il soprannome di “flipper” che si contrapponeva al servizio devastante di Pete Sampras, novello Pancho Gonzales dell’era in grafite. Pete infranse molti record, tra i quali quello agli US Open del 1990 dove superò in precocità Oliver Campbell che resisteva fin dal 1890. Agassi e Sampras si sono bombardati su tutti i campi del mondo e in diverse finali Slam. Attraverso le loro gesta la disciplina ha conquistato nuove vette, elevando sensibilmente lo standard della performance.
Campioni come i già citati Wilander, Becker, Edberg, oltre a vincitori Slam come Michael Chang, Sergi Bruguera, Michael Stich, Thomas Muster, Eugenji Kafelnikov, Carlos Moya e Goran Ivanisevic, hanno potuto fare ben poco per contenere gli impeti di Agassi e Sampras. Del resto, il finto cappellone Agassi risulta tra i pochi giocatori della storia ad aver firmato tutti i tornei dello Slam più uno oro olimpico. Mentre Sampras, dal canto suo, si è aggiudicato quattordici prove Slam tra cui sette titoli di Wimbledon. Quanto detto sta a significare che la tavola del tennis era sontuosamente apparecchiata, pronta ad accogliere i commensali del nuovo millennio.
Durante lo stesso arco di tempo tra gli anni ottanta e novanta anche tra le signore sono accaduti fatti rilevanti. In principio gli anni ottanta hanno visto la stella di Chris Evert sbiadire lentamente, mentre il vertice della classifica era sempre più saldamente nelle mani di Martina Navratilova. La monarchia di Martina I regina del tennis si interruppe bruscamente grazie all’avvento della reincarnazione della “Divina”, rinata sotto le sembianze di una super atleta venuta dalla Germania.
Arrivò così Steffi Graf. Già dai suoi primi vagiti firmò record incredibili come il Grande Slam del 1988 con l’aggiunta dell’oro olimpico di Seul, in occasione del rientro della disciplina ai Giochi. L’ultima volta del tennis alle Olimpiadi era stata quella di Parigi nel 1924, per l’appunto nei ruggenti anni venti di Suzanne Lenglen.
La Graf è stata una tennista fuori portata per tutte le sue avversarie grazie a servizio e dritto fulminei, oltre ad una fisicità superiore in perfetto stile lengleniano. La luna di miele tra Steffi e il tennis durò per 377 settimane sulla vetta del mondo, una misura che costituisce il record nella classifica WTA. Il regno di Steffi fu messo a dura prova quando negli anni novanta arrivò dalla ex Jugoslavia la nipotina bionda di Pancho Segura. Una creatura dal gioco tutto bimane, la bambina prodigio Monica Seles.
L’arrivo di Monica, per il senso che lega la storia, è stato un po’ come quello di Helen Wills. La carriera della Seles è stata folgorante e perentoria. Se non le fosse capitato l’incidente di Amburgo, dove un pazzo la accoltellò alla schiena estromettendola dal paradiso del tennis. Diversamente Monica avrebbe sgretolato probabilmente ogni barriera.
Pertanto sul cammino di Steffi Graf erano rimaste altre antagoniste come la bella argentina Gabriela Sabatini, le spagnole Arantxa Sanchez e Conchita Martinez, tutte tenniste che ovviamente non possedevano gli acuti di Monica Seles.
Durante quel periodo il sistema internazionale, forse per ovviare alla perdita di una stella di prima grandezza, realizzò nel 1989 un evento a squadre per nazioni chiamandola Hopman Cup. Questa competizione che si svolge tutt’ora in Australia, prevede la disputa di un singolare femminile e di uno maschile, più un doppio misto. Si tratta dell’unico evento nel quale è possibile ammirare all’opera i grandi campioni in una formula mista.
La fine del XX secolo ha visto emergere le bambine prodigio Martina Hingis e Jennifer Capriati, oltre alla giunonica americana Lisnday Davenport. Eppure all’orizzonte si avvertiva aria di cambiamento e in particolare il vento soffiava forte nel tennis femminile. Una fenomenologia strana, difficile in quel contesto da comprendere, incarnata da due giovani sorelle afroamericane con le treccine. Che fossero le nipotine di Althea Gibson? A loro modo forse si, anche se di cognome facevano Williams.